La partita tra Governo e lavoratori statali non è ancora finita, nonostante i rappresentanti dei lavoratori abbiano accettato la riduzione dei comparti proprio per cercare di definire tutto il resto. Infatti, sembrava che il problema della riduzione dei comparti fosse la causa dello stallo di tutte le altre questioni che riguardavano il Pubblico Impiego, compreso il tanto agognato rinnovo dei contratti. Oggi siamo ancora al punto di partenza, con i lavoratori delusi dai 300 milioni stanziati per lo sblocco ed il Governo che è fermo sulla sua radicale posizione.

Inoltre, la questione dei comparti e delle fasce di merito, rischia di minare ancora di più gli stipendi di tutti questi lavoratori.

Gli effetti della riforma

La riduzione dei comparti non è una novità del Governo Renzi e del Ministro Madia, ma è un provvedimento nato quando era Ministro Brunetta, quindi con il Governo Berlusconi. Nell’ottica di semplificazione della Pubblica Amministrazione, la riduzione dei comparti nasce per facilitare i rapporti tra le parti sociali e per risparmiare soldi pubblici. Adesso che la storia dei comparti è terminata, resta solo da capire come i piccoli sindacati, quelli che rischiavano di perdere rappresentatività proprio per via della creazione di queste macro aree della PA, si uniranno e quali sigle rimarranno al tavolo delle trattative.

La riforma nata con Brunetta però, sortirà effetti anche sugli stipendi dei lavoratori. Infatti, una delle idee che affiancavano la riduzione dei comparti era quella delle tre fasce di merito. Infatti è già previsto che i premi di produttività saranno erogati solo ai dipendenti più virtuosi, giudicati migliori, da parte di una commissione che ancora non si capisce come sarà creata ed in base a parametri di valutazione che non sono ancora chiaramente definiti.

Oltre il danno la beffa! Stipendi in calo?

Le risorse da dividere in base ai risultati quindi, saranno divise solo tra pochi eletti. I lavoratori che per via del passaggio nei macro-comparti, nonostante abbiano avuto la conferma di portarsi dietro lo stesso stipendio e lo stesso inquadramento del vecchio sistema lavorativo, rischiano seriamente di percepire di meno.

Lo stipendio salvaguardato in sede di trasloco tra comparti sarà solo quello fisso, mentre non è detto che le voci di salario accessorio, quello per intenderci del lavoro festivo, straordinario, trasferte e così via, rimarranno sulle buste paga. Se a questo aggiungiamo che i premi di risultato, prima divisi tra tutti, rimarranno appannaggio di pochi, appare evidente come si vada verso un ennesimo taglio di stipendi.

Altro problema è la vacanza contrattuale, cioè quegli aumenti concessi durante il periodo di assenza di rinnovo dei contratti che è fermo al palo e che sembra verrà erogato per il periodo 2018-2020. Se così fosse, sarebbe confermata la voce pessimistica che di sblocco dei contratti non se ne parlerà fino al lontano 2020.

Questo nonostante la sentenza della Consulta che prevedeva lo sblocco dallo scorso luglio e nonostante i 300 milioni stanziati in Stabilità per ovviare proprio alla pronuncia dei Giudici Costituzionalisti. 300 milioni che poi, in definitiva sarebbero stati poco meno di 10 euro lordi al mese per ciascun dipendente. Minimi aumenti che a qualcuno (quelli che rischiano di sforare la fascia reddituale) avrebbero rischiato di far perdere anche il bonus da 80 euro. Per questo, i sindacati si muovono nella solita direzione, quella dello sciopero che potrebbe essere indetto, come confermato dal Segretario Generale UIL, Barbagallo, tra la fine di aprile ed i primi giorni di maggio.