Poche novità sono uscite ieri dopo il terzo incontro tra Governo e Parti Sociali sul tema pensionistico. Poche ma abbastanza importanti perché in primo luogo si è confermata la volontà di intervenire sulla previdenza e sulla flessibilità in uscita e poi perché l’APE, con la prossima Legge di Stabilità, sarà appannaggio di tutti i lavoratori che raggiungono i requisiti per l’anticipo. Non solo lavoratori dipendenti del settore privato come inizialmente si prevedeva, ma anche lavoratori pubblici, impiegati statali ed autonomi. Altro punto rilevante uscito ieri è che il Governo non è fermo soltanto sull’APE, ma è disposto a vedere come fare per sistemare la questione dei precoci.

Interventi per le fasce deboli sono già in cantiere

Il Ministro Poletti ed il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Nannicini hanno confermato come, al contrario di quello che si pensava, il Governo non lavora solo sull’APE, non è cieco sulle altre problematiche del sistema previdenziale italiano. Infatti, sembra che ieri i sindacati, più che discutere sull’APE, un provvedimento già bello e fatto, sul quale si potrà solo discutere di piccole limature, hanno scelto di tornare a spingere su quelle che restano emergenze previdenziali, cioè precoci, usuranti, ricongiunzioni e così via. Per i lavori usuranti però, si dovrebbe intervenire con soluzioni interne all’APE, così come si farà per gli esodati ed altri soggetti bisognosi di aiuto.

In che modo sarà ancora da valutare, ma sembra che con il gioco delle detrazioni, si dovrebbe garantire almeno la riduzione dell’importo della rata di prestito da restituire, se non proprio il suo azzeramento. Si lavora quindi per rendere meno dura l’APE a usuranti, disoccupati senza speranza di nuovo lavoro, donne alle prese col lavoro di cura della famiglia dopo la carriera lavorativa e gli invalidi.

Detrazioni fiscali dicevamo, anche se bisogna valutare bene la situazione, soprattutto quella relativa alle Pensioni basse che rientrano tra i contribuenti incapienti. Infatti per questi, le detrazioni servono a poco, non essendoci trattenute fiscali da azzerare.

Quota 41? Non proprio, ma si lavora

Per i precoci invece, il discorso è diverso, perché con l’APE, le loro prerogative e necessità non vengono trattate.

L’APE infatti è un provvedimento indirizzato per la pensione di vecchiaia, non per quella di anzianità contributiva, la anticipata come si chiama oggi. AI precoci non interessa uscire prima dei 66 anni e 7 mesi previsti oggi dalla Legge Fornero. Per queste tipologie di lavoratori, che hanno iniziato molto giovani a lavorare, sarà si necessario permettergli di uscire prima, ma la base devono essere gli anni di lavoro e non l’età anagrafica. I comitati di quota 41 infatti spingono proprio per l’uscita con 41 anni di contributi senza penalizzazioni e senza limiti di età.

Anche Damiano e la Gnecchi, i tecnici del Governo in materia pensionistica, nella loro proposta, hanno questa soluzione. Applicare il prestito per questi però non sembra fattibile, così come non sembra fattibile finanziare la quota 41 con soldi pubblici, per la scarsezza di disponibilità statali.

Il Presidente Damiano è tornato comunque a pressare il Governo sul tema precoci, approfittando della debacle elettorale del PD alle ultime amministrative e dei ripetuti incontri sul tema previdenziale messi in agenda (a luglio dovrebbe essercene un altro). Damiano si è detto d’accordo a fare entrare le banche nel sistema pensionistico, purché si tutelino le fasce deboli, riducendo le penalizzazioni inflitte a queste fasce a causa della rata di prestito. Quindi, calmierare la rata entro l’8% per tutti ed estendere da 3 a 4 anni gli anni di anticipo concessi dall’APE. In parole povere, Damiano cerca di avvicinare quanto più possibile l’APE al suo DDL 857, la sua proposta di riforma depositata nella scorsa legislatura.