Il giorno è quasi arrivato, domani 27 settembre, Governo e sindacati si siederanno al tavolo per definire gli interventi previdenziali da inserire in Legge di Bilancio. Se fino ad oggi, tra interventi confermati, voci ed indiscrezioni, il quadro è sempre confuso, domani tutto sarà più chiaro. Il Governo dovrà per forza di cose presentare il piano previdenziale che finirà nel grande contenitore della manovra finanziaria. Dall’incontro dovrebbero uscire tutti i provvedimenti e tutte le cifre che verranno stanziate per le Pensioni. I sindacati potranno spingere ancora per alcune loro richieste, ma piacerà o no, quella che molti chiamano, forse sbagliando, riforma delle pensioni, da domani diventerà ufficiale.

L’APE

Nessuna controriforma di quella prodotta dalla Fornero sarà fatta, si tratta solo di consentire ad alcuni lavoratori di evitare di subire gli inasprimenti della attuale legge previdenziale. Si può ipotizzare che domani, quando il Governo metterà nero su bianco tutto il pacchetto, i sindacati potranno essere d’accordo o no, ma in quest’ultimo caso resterebbe loro solo la possibilità di scendere in piazza. Come sempre, si partirà dall’APE, il prestito pensionistico che dovrebbe rispondere alle esigenze di flessibilità pensionistica. L’APE si applica alle pensioni di vecchiaia, cioè serve per anticipare la pensione a 63 anni anziché 66 anni e 10 mesi. Il vincolo è la formula stessa della misura, cioè con una pensione erogata dalle banche alle quali i soldi qualcuno dovrà restituire.

In questa ottica entra in campo quella che i più definiscono APE social. Con buona pace del ceto medio, dei pensionati con assegni sopra i 1.000 euro al mese, ai quali toccherà l’onere di restituire il prestito a rate ed in 20 anni, una volta raggiunti i 66 anni e 10 mesi di età, si ragiona sui soggetti da aiutare. Disoccupati, redditi bassi ed invalidi sono le categorie che, probabilmente, il Governo aiuterà non facendo loro pagare la rata di debito grazie alle detrazioni fiscali. Per gli altri, la rata trattenuta per 20 anni, si tradurrà in un pesante taglio di pensione, nell’ordine del 7% per ogni anno di anticipo.

I precoci

Poco più di 2 miliardi, questa la cifra che sembra il Governo abbia intenzione di destinare alle pensioni. Se un terzo circa sarà spesi per l’APE social, ne rimarranno pochi per gli altri interventi e quindi voli di fantasia per domani sono esclusi. Sorprese non ce ne saranno nemmeno per i precoci. Questi, avendo iniziato a lavorare giovani e trovandosi con molti anni di contributi già versati, interesserebbe lasciare il lavoro a Quota 41, senza attendere i 42 anni e 10 mesi che la Fornero ha fissato come soglia per la pensione anticipata.

Per il Governo però, alle prese anche con l’esame del referendum costituzionale che ha bisogno di consensi, la patata precoci resta bollente. Il capitolo precoci per il Governo è quello più oneroso e scartata per gli alti costi la quota 41, resta in piedi il bonus contributivo. Sempre nell’ottica del risparmio, se inizialmente si pensava ad un bonus di 3 mesi per ogni anno di contributi versati prima dei 18 anni, oggi la soluzione è concederlo per i versamenti prima dei 16 anni. Ancora un taglio di platea necessario per spendere pochi soldi. La situazione è talmente difficile che si pensa addirittura di ampliare l’APE anche alla pensione anticipata di oggi, consentendo di lasciare il lavoro con 41 di contributi, ma con il prestito bancario.

In questo caso, soggetti per esempio di 60 anni, al posto di raggiungere 42 anni e 10 mesi di contributi, andrebbero in pensione con 41 e solo dopo un anno e 10 mesi inizierebbero a restituire il prestito. Il prestito diventerebbe fruibile anche per la pensione che una volta si chiamava di anzianità, anche se a lavoratori con oltre 40 anni di contributi, probabilmente piacerà poco l'idea del prestito. Infatti a questa categoria non può applicarsi l'APE social essendo probabili fruitori di assegni pensionistici tra i 1.800 e 1.900 euro.