Per 3 milioni e mezzo di italiani non vale più la pena cercare un Lavoro. Un vero e proprio esercito formato da chi ha ormai perso la speranza e ha visto le proprie aspirazioni infrangersi contro il muro del silenzio. Si tratta di una fetta della popolazione, pari al 22,8% dei residenti lungo lo Stivale, che adesso entra di diritto nelle statistiche con l’etichetta di “scoraggiati”. Ovvero quella categoria che prende corpo e consistenza giorno dopo giorno e rappresenta tutti coloro che hanno smesso di cercare un’occupazione pur avendone bisogno.

Il fenomeno affiora ufficialmente dallo studio messo a punto dall’Osservatorio nazionale dei consulenti del lavoro (che fotografa lo scenario occupazionale in Italia sulla base dei dati 2016) e si concretizza nel possibile spauracchio sociologico dei prossimi anni: la depressione da disoccupazione condivisa.

Il dato allarmante

La statistica dell’Osservatorio evidenzia questo aspetto che preoccupa già gli esperti e che viene individuato tecnicamente come “tasso di mancata partecipazione al lavoro”. Un indicatore poco utilizzato, ma estremamente importante perché va a misurare effettivamente le forze lavorative non utilizzate dal sistema produttivo. Un dato che non include solo i disoccupati così come sono definiti dalle classificazioni internazionali, ma anche tutti gli altri lavoratori inattivi che non cercano più un’occupazione: sono proprio loro, gli scoraggiati.

Quelli che pensano che sia del tutto inutile anche chiedere una raccomandazione o trovare lo spiraglio giusto per farsi imbucare in una struttura pubblica, in un’azienda o in un qualsiasi altro posto di lavoro. Dati alla mano - secondo lo studio dei consulenti del lavoro - in Italia ci sono quasi 3,5 milioni di persone che hanno smesso di cercare un’occupazione, residenti per quasi due terzi nelle regioni del Mezzogiorno (63,4%), per il 22,6% al Nord e per il 14,1% al Centro.

Persone che, come detto, rappresentano il 22,8% del Paese.

Il picco è al Sud

Il tasso di mancata partecipazione al lavoro, a livello locale, trova il suo massimo valore nella provincia di Vibo Valentia (48,7%) dove è superiore di oltre 43 punti percentuali rispetto a quello della provincia di Bolzano (5,3%), che ha l'indicatore più basso d'Italia per quanto riguarda questo parametro.

Valori superiori al 40% si registrano nelle altre quattro province calabresi di Crotone (46,9%), Reggio Calabria (45,7%), Cosenza (41,2%) e Catanzaro (40,5%); nelle due province campane di Caserta (46,3%) e di Napoli (44%); nelle due province pugliesi di Foggia (42,3%) e Barletta-Andria-Trani (40,7%); in quasi tutte le province siciliane: Agrigento (44,2), Palermo (44,2%), Caltanissetta (42,8%), Catania (42,8%), Enna (40,8%), Trapani (40,8%) e Siracusa (40,6%). Valori molto bassi di questo indicatore si registrano, invece, oltre che a Bolzano anche nelle province di Cuneo (9,3%), Belluno (9,4%), Pordenone (10,2%), Vicenza (10,6%), Lecco (10,9%) e Verona (11,1%).