La prima riforma che il Governo Conte vuole mettere in atto per quanto riguarda il mercato del lavoro punta a regolarizzare i cosiddetti 'riders'. Li hanno definiti 'ingranaggi della gig economy', la nuova economia che poggia esclusivamente su piattaforme informatiche. I riders sono i 'pony express' che consegnano in bicicletta cibi e bevande a domicilio; sono sei al momento le maggiori aziende che operano in Italia e che hanno il volume di affari più alto nelle realtà metropolitane: 'JustEat', 'Deliveroo', 'Domino's Pizza', 'Glovo', 'Moovenda' (unica italiana) e, soprattutto, 'Foodora'.

Il primo atto del nuovo ministro del lavoro e dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, è stato il 'decreto-dignità' da applicare al comparto. Due i punti cardine: maggiori tutele contrattuali ed un salario minimo garantito. La questione è stata mal digerita da Foodora, come detto la principale delle aziende della 'gig economy' che opera nel Belpaese ed il rischio di un muro contro muro era nell'aria dopo la minaccia nemmeno tanto velata del manager italiano dell'azienda e la risposta altrettanto secca del leader del M5S. Ma Di Maio che, già nel recente passato, si è comunque dimostrato abile ad imbastire trattative difficili (basti pensare al lunghissimo iter del contratto di governo con la Lega ed alle frizioni con il Quirinale, ndr) ha scelto la via del dialogo proponendo l'apertura di un tavolo.

L'obiettivo è quello del primo Contratto Nazionale del settore, sarebbe un biglietto da visita eccellente per il nuovo esecutivo.

Lo scontro prima delle trattative

Il decreto-dignità era stato interpretato come una sorta di 'giro di vite' da Gianluca Cocco, capo di Foodora Italia. Uno dei punti di forza della gig economy si basa sui prezzi contenuti della merce ed è evidente che un rinnovato carico di salari e fisco determinerebbe una crescita dei costi per il consumatore.

Il rischio, secondo Foodora, sarebbe quello di rendere il servizio meno appetibile all'utenza. La reazione si è tradotta in qualcosa di già sentito, la minaccia di lasciare l'Italia. Sebbene sia un caro, vecchio ed abusato adagio di molte imprese e comporti (se messo in atto) un rischio per l'erario, perché se Foodora lascia il paese rinuncia di conseguenza alla sua quota di tasse versate, Di Maio ha impugnato il piccone.

"Non cediamo ad alcun ricatto", ha detto a chiare lettere il vicepremier. Lo scontro frontale era dunque nell'aria, ma a conti fatti non conviene a nessuno ed in primis non conviene a Foodora che dovrebbe comunque lasciare un mercato in piena espansione. Un settore in crescita che, però, necessita di una regolamentazione a tutela dei 'ciclisti' che ne consentono la piena operatività. Secondo i dati della Fondazione 'Rodolfo Debenedetti', ripresi da 'Il Sole 24 Ore', i lavoratori del comparto in Italia sarebbero al momento tra 700 mila ed un milione di unità, 200 mila dei quali avrebbero l'unica entrata economica in questa attività.

Decreto-dignità: cosa prevede

I lavoratori del comparto ad oggi sono classificati come autonomi e, ai sensi della vigente normativa, sono "prestatori di lavoro subordinato".

Il decreto-dignità mira innanzitutto ad abolire l'articolo 2 del Jobs Act del Governo Renzi che disciplina la differenza tra collaborazione e subordinazione. Tra i punti più importanti c'è l'inserimento di un salario in base ai parametri dei minimi del contratto collettivo di categoria, oltre al divieto del pagamento a cottimo per qualunque lavoro svolto per app o piattaforme digitali. Inoltre viene previsto l'inserimento di una indennità di disponibilità (che va suddivisa in quote orarie, ndr) ed il diritto a ferie, maternità e malattia. Infine il 'diritto alla disconnessione' che si traduce nel divieto al datore di lavoro di inviare ordini e comunicazioni a mezzo di app o qualunque piattaforma digitale per 11 ore consecutive ogni 24 ore.

L'infrazione di questo diritto comporterebbe all'azienda una multa variabile da 250 a 1.250 euro.

Regione Lazio e Salvini, due assist per Di Maio

Nei giorni scorsi, la giunta regionale del Lazio ha iniziato a lavorare su una legge relativa alla gig economy ed è certamente un assist prezioso per il decreto-dignità predisposto dal ministro del lavoro. Oltretutto, questa scelta è compiuta in piena sintonia con l'altro vicepremier. "È arrivato il momento di smetterla di trattare i lavoratori come pezze da piedi", ha dichiarato Matteo Salvini, rafforzando la posizione di Di Maio che aveva manifestato la sua volontà, da titolare del dicastero del lavoro, di "favorire la crescita delle nuove attività legate a questo comparto.

Non stiamo demonizzando le attività connesse a piattaforme innovative - ha puntualizzato - ma abbiamo il dovere di tutelare i ragazzi che vi lavorano". Da qui la scelta di approvare in tempi brevi il decreto, anche se adesso ci potrebbe essere una 'terza via'.

L'apertura di un tavolo

La citata soluzione deve ancora essere messa a punto, ma al termine dell'incontro che si è svolto ieri, 18 giugno, tra il ministro Di Maio ed i rappresentanti delle aziende del settore che operano in Italia, la proposta dell'esponente del Governo Conte è stata recepita. Sarà dunque aperto un tavolo tra i lavoratori e le piattaforme della gig economy per costruire nuovi modelli contrattuali. L'obiettivo del ministero del lavoro è quello di garantire diritti e tutele ai lavoratori.

Lo stesso Di Maio, al termine del confronto, ha messo le mani avanti. "Vogliamo arrivare al primo Contratto Nazionale della gig econonomy, ma se il tavolo non dovesse andar bene allora interverremo con la norma che avevamo progettato". La partita, pertanto, è soltanto alle prime fasi.