Gli emendamenti in Commissione Bilancio della Camera non hanno prodotto correttivi a quota 100. Bruxelles ha bocciato la manovra finanziaria del governo e chiesto interventi a ridurre l’impatto della legge di Bilancio anche e soprattutto per quanto riguarda la spesa previdenziale che gioco forza, per via di quota 100 aumenterà. La misura potrebbe essere richiesta da 300mila lavoratori, ma l’Inps non può permettersi di ricevere nel 2019, 300mila nuove domande di pensionamento. Allora perché il governo non ha corretto qualcosa circa questo nuovo strumento previdenziale?

Il Lavoro sulla misura non è ancora finito, ma probabilmente la risposta al quesito la produce un articolo del quotidiano Il Messaggero che prevede domande di pensione con la quota 100, ben al di sotto delle attese. Secondo l’articolo, solo un lavoratore su due, che avranno centrato il requisito anagrafico-contributivo utile alla misura andranno in pensione con la novità pensionistica. Pur senza correttivi, la misura ha insiti nella sua struttura normativa, limiti e paletti atti a scoraggiare quanti potrebbero sfruttarla, dal farlo.

La misura è opzionale

La quota 100 è una misura che lascia al lavoratore la libera scelta di utilizzarla o meno. Una misura opzionale, perché sta al soggetto interessato scegliere se lasciare il lavoro o se continuare a lavorare.

Il pacchetto che è già finito all'esame della Ragioneria Generale dello Stato prevede il requisito congiunto di 62 anni di età e 38 di contributi e come stanziamenti nella manovra sono stati destinati 6,7 miliardi. Una dotazione triennale, per una misura valida fino al 2021. Secondo le stime però, già nel 2019 la spesa prevista sarà inferiore alle stime.

Questione tecnica perché la misura prevede uscite scaglionate nel tempo grazie al meccanismo delle finestre mobili. Pur avendo i requisiti già completati, un lavoratore del settore privato per esempio, dovrà attendere 3 mesi per la decorrenza del suo primo rateo di pensione. Nel settore pubblico, quello dei lavoratori statali, l’attesa sarà ancora maggiore, con una finestra di 6 mesi dalla data di completamento dei requisiti.

I limiti disincentivanti

Le finestre, se da un lato renderanno più facile e più sopportabile l’impatto di quota 100 per Inps e per lo Stato, potrebbero essere già un primo fattore deterrente per quanti potrebbero essere intenzionati a scegliere la nuova via della pensione da quotista.

Di disincentivi a scegliere quota 100 però ce ne sono altri, tanto è vero che secondo il quotidiano, molti di quelli che potrebbero uscire con questo strumento, alla fine decideranno di non farlo. Secondo le stime, uno su due, considerando in primo luogo coloro che per libera scelta e per condizioni di lavoro evidentemente non insostenibili, sceglieranno di lavorare ancora. C’è poi la questione dell’assegno previdenziale, inevitabilmente più basso perché meno contributi si versano, meno pensione si percepisce. Per un soggetto di 62 anni di età, lasciare il lavoro con la quota 100 significa farlo con 5 anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni e questo significa 5 anni in meno di contributi versati.

Per questo aspetto vanno considerati anche i coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione che sono tanto più sfavorevoli, quanto prima si lascia il lavoro prendendo come parametro sempre l’età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia, cioè 67 anni. Altro disincentivo infine sarebbe quello del divieto di cumulo con redditi da lavoro. Alla pensione di importo inferiore a quella che si andrebbe a percepire aspettando le uscite previste dalla Fornero, si deve aggiungere il divieto di cumulo della pensione in regime di quota 100, con redditi da lavoro si importo superiore a 5.000 euro. Non si potrà arrotondare la pensione con altri redditi di importo elevato e questo potrebbe spingere molti soggetti, per lo più professionalità medio-elevate, a non prendere in considerazione questo nuovo canale di uscita.