Un solo anno di anticipo in termini di uscita dal mondo del lavoro produce un duplice negativo effetto sui conti pubblici e del sistema previdenziale, un anno in meno di contributi versati ed un anno in più di pensione erogata al pensionato significano maggiori spese da parte dello Stato. Un solo anno dicevamo, figuriamoci 5 anni come prevede la nuova pensione con quota 100. La richiesta di maggiore flessibilità nel sistema, alla quale il governo ha risposto con il varo della nuova misura, non può che prevedere riduzioni di assegno per chi sceglierà il nuovo canale di uscita.

La flessibilità se da un lato prevede maggiori costi per tutto il sistema, risulta necessaria sia per i lavoratori che a partire dall’ingresso della legge Fornero si sono visti allontanare negli anni la pensione e sia per le imprese per le quali un lavoratore anziano potrebbe essere un peso. Questa in sintesi una eloquente analisi di quanto succede e succederà nel mondo pensionistico italiano con l’avvento di questa ormai celebre quota 100, pubblicata sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”.

Identikit dei possibili neo pensionati quotisti

La quota 100 alla voce età minima di accesso dice 62 anni mentre per quanto concerne il requisito contributivo minimo ci vogliono 38 anni. Una misura che secondo l’articolo del quotidiano, costerà circa 22 miliardi di euro durante i suoi 3 anni di sperimentazione.

La quota 100 è misura che ha come principio cardine la flessibilità, essendo misura opzionale e che permette anticipi di pensione tra uno e cinque anni. Anche Opzione donna o l’Ape sociale, le altre due novità previdenziali del governo Conte, la prima riavviata dopo anni di stop e la seconda confermata anche nel 2019, permettono uscite dal lavoro a libera scelta da parte del lavoratore: tTutte misure che prevedono Pensioni inferiori da erogare ai pensionati, ma per un lasso di tempo maggiore.

La riduzione dei requisiti di accesso alla pensione che fuoriesce da tutte queste misure, secondo i dati resi pubblici dall’UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio) dovrebbe consentire una fuoriuscita di lavoratori con conseguenti nuove pensioni di circa 457.000 unità. Quasi il 70% di questa ingente platea sarebbero maschi, la metà circa statali e tutti o quasi provenienti dal sistema retributivo.

La flessibilità

Chi chiede maggiore flessibilità per poter andare in pensione è sicuramente il lavoratore che per via di problematiche familiari o di salute, o per demotivazione e stanchezza, vorrebbero poter lasciare prima il lavoro. Flessibilità è richiesta anche da parte delle aziende che vorrebbero rinnovare l’organico dei dipendenti perché avere al lavoro soggetti demotivati e stanchi, che costano di più perché più anziani in servizio e che trovano difficile adeguarsi ai progetti di innovazione del mondo del lavoro, resta un fattore altamente oneroso.

Come dicevamo in premessa, con uscite anticipate che faranno scendere di un anno e mezzo (secondo le stime) l’età media dei nuovi pensionati, il sistema incassa di meno e spende di più.

Ecco perché ai pensionati gioco forza devono essere erogati assegni più bassi. La quota 100 non fa eccezione, anche se rispetto alle misure del passato ma anche ad Opzione donna o Ape volontario non prevede penalizzazioni organiche. Il sistema contributivo per esempio, che si applica anche ad Opzione donna, prevede tagli di assegno in origine, per via del sistema di calcolo delle pensioni che non è basato sulle retribuzioni, bensì sul montante contributivo. In passato c’erano penalizzazioni di assegno per ogni anno di anticipo con cui si accedeva alle pensioni anticipate, partendo sempre dall’età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia. Lo stesso meccanismo era stato inserito in diverse proposte di riforma delle pensioni post legge Fornero, come quella del decreto 857 dell’allora presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio, Cesare Damiano.

Su quota 100 invece la pensione è ridotta solo perché si vanno a versare meno anni di contributi e solo perché il proprio montante contributivo viene trasformato in pensione con coefficienti che si abbassano all’alzarsi del numero di anni di anticipo con cui si lascia il lavoro.