Nel decreto crescita è previsto da un emendamento uno scivolo di sette anni per andare anticipatamente in pensione per lavoratori subordinati nelle grandi aziende. La misura se l’emendamento sortisse i suoi effetti e venisse validato dal Parlamento, consentirebbe questo largo anticipo di pensione fino al 31 dicembre 2020, essendo una misura sperimentale. Con questo scivolo diventerebbero molteplici le vie di uscita dalla pensione grazie alle aziende e ai datori di lavoro che in accordo con sindacati e lavoratori, si sobbarcano il costo dell’anticipo pensionistico accompagnando i lavoratori alla loro vera pensione, a 67 anni, che è l’età prevista per la pensione di vecchiaia.

Infatti oltre a questo autentico maxi scivolo di sette anni esiste già l’isopensione e l’Anticipo pensionistico aziendale (l’Ape). Di seguito si analizza cosa concedono le misure, a chi si rivolgono, come funzionano e le differenze tra di loro, come spiega nel dettaglio un articolo odierno del quotidiano Il Sole 24 Ore.

La novità del decreto crescita

Tornano prepotentemente in auge scivoli pensionistici a favore dei lavoratori che sfruttano accordi aziendali per andare prima in quiescenza. Il decreto crescita, il cui iter parlamentare è arrivato all’esame della Commissione Bilancio e Finanza di Montecitorio, prevede una misura contenuta in un emendamento di Lega e Movimento 5 Stelle che potrebbe mandare in pensione fino a sette anni prima molti dipendenti di aziende con organico sopra i 1000 lavoratori.

Il via libera, se davvero sarà approvato l’emendamento, dovrà avvenire durante la conversione in legge del decreto. Al riguardo occorre sottolineare come i lavori in Commissione Bilancio alla Camera sono stati spostati al 10 giugno. Oltre che essere dipendenti di aziende di dimensioni rilevanti, un requisito necessario dovrà essere quello dell’età o della contribuzione versata.

La misura infatti sarebbe appannaggio di soggetti con almeno 60 anni di età o con più o meno 36 anni di contributi versati perché è di 84 mesi (7 anni) l’anticipo consentito rispetto alla pensione di vecchiaia o a quelle anticipate. In questo modo, un lavoratore potrebbe lasciare il lavoro in anticipo, purché l’azienda, sottoscriva patti con Ministero e sindacati, rivolti a previsioni di nuove assunzioni in sostituzione dei pre pensionamenti.

L’opzione riguarderebbe aziende che avviano progetti di riqualificazione tecnologica e di innovazione che necessiterebbero di svecchiare l’organico dipendenti dotandosi di forza lavoro nuova.

Il paragone con Ape aziendale e isopensione

Come si diceva esistono già nel nostro ordinamento misure che come il maxi scivolo di cui si parla tanto nel decreto crescita, consentono anticipi di pensione grazie ai datori di lavoro che si sobbarcherebbero (è il caso anche del maxi scivolo di 7 anni di cui sopra) l’onere di erogare un assegno sostitutivo della pensione, di importo pari alla ipotetica pensione maturata dal lavoratore alla data di uscita dal lavoro. Alla mente viene l’isopensione, misura che è stata inserita nel sistema con la legge Fornero.

Se il maxi scivolo è previsto per aziende che hanno almeno 1.000 dipendenti, nell’isopensione questo limite è nettamente più basso. In effetti possono sfruttare questa misura le aziende con minimo 15 lavoratori dipendenti in organico. Per l’isopensione l’azienda deve sottoscrivere un accordo con i sindacati con richiamati i numeri dei lavoratori che si vorrebbe accompagnare alla pensione dopo accordi con gli stessi lavoratori a seguito di licenziamenti concordati anche collettivi. Nessun patto di riorganizzazione, di nuove assunzioni o di innovazione e reindustrializzazione è necessario nell’isopensione che prevede comunque l’anticipo massimo fino a 7 anni. Un'altra misura di questo genere può essere considerata l’Ape aziendale, la versione di Anticipo Pensionistico che oltre a Inps e pensionati, ha come soggetto interessato proprio il datore di lavoro.

Nell’Ape aziendale non ci sono limiti di grandezza dell’azienda da rispettare e non va siglato un patto con le parti sociali ma si tratta di accordi singoli tra datore di lavoro e lavoratore. Nell’Ape aziendale occorre indicare la durata dell’anticipo pensionistico offerto al lavoratore (si parte dai 63 anni di età come per tutte le altre versioni di Ape, sociale o volontario) e l’importo della contribuzione previdenziale che il datore di lavoro continuerà a versare a nome del lavoratore durante la fruizione dell’anticipo.

I costi delle misure

Come anticipato, il ruolo delle aziende per questi scivoli è anche quello di erogare ai lavoratori un assegno mensile (con il nuovo scivolo potrebbe essere possibile anche ricevere tutto in unica soluzione) sostitutivo della pensione effettivamente spettante in base alla data di uscita dal lavoro.

Per l’isopensione, il datore di lavoro oltre a versare l’indennità dovrà pagare i contributi per il lavoratore. Il costo di questi contributi sarà calcolato sulla media della retribuzione previdenziale del lavoratore durante gli anni immediatamente antecedenti la data di uscita dal lavoro, con un 15% in più. Nel maxi scivolo se l’anticipo è verso la pensione di vecchiaia l’azienda non deve versare alcun contributo previdenziale, mentre ne deve versare solo una piccola percentuale se l’anticipo è per la pensione anticipata. Per l’Ape sociale invece l’azienda deve versare oltre all’indennità mensile, anche i contributi previdenziali parametrati al costo dei versamenti volontari in vigore alla data di uscita dal lavoro.