Il Centro Studi Itinerari Previdenziali opera da più di 10 anni in attività di ricerca, formazione e informazione in materia previdenziale e di welfare in genere. Il suo Presidente Alberto Brambilla è uno dei più noti conoscitori della materia tanto è vero che in passato sembra abbia curato i programmi elettorali della Lega dal punto di vista delle proposte previdenziali. Sul sito ufficiale del Centro Studi viene riportata una interessante intervista che lo stesso Brambilla ha rilasciato al sito web "formiche.it", in cui produce la sua particolare proposta sulla correzione di quota 100 di cui tanto si parla oggi.

Inoltre, proprio oggi il sito "Adnkronos" riporta i dati di uno studio di Itinerari Previdenziali, cioè il "rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano per l’anno 2018. Nello studio si evidenzia il fatto che il sistema previdenziale è ancora sostenibile, ma presto si abbatterà su di esso l'effetto di quota 100 e la situazione potrebbe peggiorare. Ecco perché anche per Brambilla occorre correre ai ripari, correggere quota 100 rendendola meno generosa ma senza cancellarla di colpo come pensa di fare Matteo Renzi con gli emendamenti alla legge di Bilancio.

Una quota 100 meno appetibile

"La quota 100 è nata dall'esigenza del precedente governo, di dare una risposta alla esagerata rigidità della riforma Fornero", inizia così Brambilla la sua intervista in cui però mette in risalto anche le problematiche che la quota 100 lascia in campo, a partire dalla eccessiva flessibilità che offre.

Brambilla propone di rendere meno appetibile quota 100, portandola all'età pensionabile minima di anni (oggi è a 62) e portando i contributi necessari da 38 a 39 anni. Inoltre l'età pensionabile deve essere indicizzata alle aspettative di vita. Secondo Brambilla, questa ricetta salva sistema, dovrebbe valere per la generalità dei lavoratori, inclusi i giovani che oggi sono tra i più penalizzati anche da quota 100 oltre che dalla legge Fornero.

Tra Renzi e Salvini

La quota 100 è una misura fortemente voluta e adesso aspramente difesa dalla Lega e dal suo leader Matteo Salvini. Secondo il Presidente di Itinerari Previdenziali, la quota 100 non risolve tutti i problemi ed il fatto che sia sperimentale e temporanea, produrrà problemi in futuro. Se davvero verrà confermata fino alla sua scadenza del 31 dicembre 2021, se tornasse in pieno vigore la precedente normativa (la riforma Fornero), in 24 ore si passerebbe da una possibile pensione a 62 anni di età, ad una certa pensione a 67 anni e 2 mesi.

Di colpo chi non avrà la possibilità di sfruttare la quota 100, perché non completerà i requisiti nel 2021, dovrà attendere i 67 anni della pensione di vecchiaia con ulteriori due mesi che proprio da gennaio di quell'anno, potrebbero essere applicati sempre per le aspettative di vita. Anche la soluzione di Italia Viva, quella di bloccare immediatamente la misura, cioè già dal 2020, appare poco conveniente. Non ci sarebbe lo scalone di 5,2 anni del 2022, ma si lascerebbero a piedi, cioè senza lavoro e pensione, in pratica esodati, molti lavoratori che si sono accordati con le aziende per uscire già l'anno venturo con quota 100.

Evitare gli sbagli del passato

Per quanto concerne lo studio prodotto dal suo Centro Studi e di cui parlavamo in precedenza, ci sarebbero ben 653.000 pensionati che percepiscono la pensione da 38 anni.

Molti di questi assegni pensionistici sono collegati alle invalidità, che in passato erano erogati in maniera "discutibile". Secondo Brambilla bisogna prestare attenzione a prevedere misure come quota 100 o come l'Ape sociale, perché potrebbero riproporre problemi che il sistema ancora oggi subisce. Il riferimento è alle Pensioni erogate per troppi anni ai pensionati e non commisurate ai contributi versati. In effetti nei dati del rapporto questo fenomeno emerge con assoluta evidenza. Esistono secondo i dati di Itinerari Previdenziali, 3,5 milioni di pensionati che ricevono la loro pensione da più di 26 anni. Il problema è che alla data i cui queste pensioni sono state liquidate la prima volta, cioè negli anni 90, la contribuzione media reale era fissata a 32 anni di contributi. In pratica, le pensioni liquidate in quella epoca e che ancora oggi sono a libro cassa dell'Inps, non sono state coperte dai contributi previdenziali di chi le percepisce.