Sono stati meno del 5 per cento dei morti totali di Covid-19 le vittime più giovani, dai 20 ai 60 anni: se erano lavoratori e avevano coniuge e figli a carico, hanno lasciato una pensione di reversibilità misera, che nei casi di minori anni di contributi versati scende fino ai 200-300 euro al mese, soprattutto per gli under 50 anni ai quali viene applicato interamente il metodo contributivo.
In tutto, al 4 maggio scorso, sono stati 1.255 i morti sotto i 60 anni e 295 sotto i 50 secondo i dati riportati dall'Istituto Superiore di Sanità: troppo pochi gli anni di contributi versati per poter aspirare ad una pensione dignitosa da lasciare agli eredi.
Pensioni ai tempi di Covid-19: importo troppo basso per i morti under 60 anni nel 2020
Se i sessantenni morti di Covid-19 in parte ricadevano nel sistema misto o retributivo delle Pensioni, chi aveva sotto i 50 anni ricadeva nel sistema previdenziale contributivo. Il calcolo della futura pensione si basa sugli anni di versamenti dei contributi: più è stato versato, più è alta la pensione. E, in caso di morte da giovani, l'aver accumulato dieci, quindici o vent'anni di contributi comporta un assegno di modesta entità corrispondente al 60 per cento della pensione che sarebbe spettata da vivi.
Questo meccanismo si traduce in una mini-pensione di 200-300 euro che, tra l'altro, non è neanche integrabile al minimo, come avviene a chi ha pensioni al di sotto della sussistenza.
La stortura danneggia soprattutto i lavoratori del sistema previdenziale contributivo, ovvero coloro che abbiano iniziato a lavorare e a versare contributi solo successivamente al 1° gennaio 1996, dunque in particolare gli under 50 anni: dal calcolo previsto dal meccanismo pensionistico emergono assegni deboli, soprattutto in presenza di buchi durante la carriera lavorativa, e per di più non integrabili se basse.
Pensioni di reversibilità, appena 200-300 euro mensili per mancanza di contributi
A fronte di pensioni di importo basso, ai malati di Covid-19 poi deceduti non è stato possibile applicare nemmeno l'anzianità contributiva convenzionale, introdotta dalla legge numero 222 del 1984 che prevede, per i lavoratori che abbiano lavorato pochi anni come ad esempio cinque, la possibilità del ricalcolo della pensione di reversibilità con una maggiorazione contributiva.
Come se la pensione venisse calcolata per un numero di contributi pari a 40 anni anziché cinque nel caso di malattia che diventa inabilità al lavoro, prima del decesso.
Nel caso della pandemia che ha colpito l'Italia, i malati di Covid-19 per attivare questa procedura pensionistica avrebbero dovuto presentare domanda di inabilità all'Inps per poi essere visitati da un ispettore che avrebbe riconosciuto o meno l'inabilità.
Tuttavia, come spiegato dal segretario organizzativo della Cgil Lombardia Mauro Paris, questa procedura è praticamente impossibile nel caso della Covid-19. "Se hai un tumore, hai tempo per ragionare sull'inabilità e far riconoscere la malattia all'Inps - ha analizzato Paris - Nel caso del virus questa procedura evidentemente non è possibile, anche per il rischio di contagio".
Lo stesso Paris auspica che il Governo possa intervenire ed allargare il beneficio dell'anzianità pensionistica convenzionale a tutti i lavoratori morti di Covid-19: "Basterebbe una semplice modifica alla legge 222 del 1984 da inserire anche nel prossimo decreto di maggio".