Secondo l'ultimo rapporto ISTAT(marzo -dicembre 2020) dall'inizio della pandemia, sino ad oggi, sono andati perduti molti più posti di lavoro per il genere femminile, oltre 344.000 tagli nei settori più importanti. Un dato particolarmente inquietante per le donne italiane, la cui soglia di occupazione, risulta essere molto più bassa rispetto alla media europea (siamo sotto la quota del 50%, contro il 66% del resto d'Europa), è un trend, questo, che rischia addirittura di peggiorare con la prossima fine del blocco dei licenziamenti. Ma tralasciando i numeri, quello che emerge sono soprattutto le ripercussioni in termini di insoddisfazione ed infelicità che l'aggravarsi della crisi occupazionale e sociale stanno producendo tra le appartenenti al genere femminile, specialmente tra le mura domestiche.

Dall 'ultima indagine condotta per We World (Ipsos), a partire dalla fine del 2019, la condizione economica femminile, si è di molto complicata, per una donna su due, sia al settentrione che al centro-sud. Le italiane pagano le incrostazioni delle politiche di genere inadeguate, ed un sistema welfare pieno di falle e molto poco incisivo, che le costringe a dover impiegare il doppio del loro tempo giornaliero per lo svolgimento dei lavori di casa e per la cura dei bambini, con un sacrificio ancora più accentuato a livello salariale e di gratificazioni professionali.

I riflessi della crisi occupazionale sull'aspetto psicologico ed emotivo delle donne

Inevitabili contraccolpi ha subito l'aspetto psicologico ed emotivo che ha chiamato le donne a confrontarsi con un profondo clima di incertezza non solo occupazionale, ma soprattutto di relazione uomo-donna e madre-figlio.

La pandemia ha, infatti, provocato una diminuzione significativa delle ore dedicate a formazione ed aggiornamento professionale, con un aumento di quelle dedicate senza retribuzione alla cura dei figli o di genitori anziani. Ad acuire le difficoltà per le donne e madri lavoratrici, anche la chiusura delle scuole e degli asili nido, coniugata con l' indisponibilità di padri, nonni o baby-sitter.

Il disagio della crisi da Covid evidenzia una disparità di genere ancora più pesante

Il Covid, ha evidenziato ancora di più, una disparità di genere tra uomini e donne, esacerbando gli strascichi culturali di una discriminazione sostanziale che rischia di compromettere tutte le conquiste ottenute negli ultimi anni, con determinazione e fatica, dal sesso femminile: a partire dagli incarichi lavorativi di prestigio, ruoli strategici, politici e culturali, fino a giungere ad una tanto sognata ed invocata equiparazione salariale.

La crisi ha messo in ginocchio i settori più importanti del lavoro femminile ed il regolamento emanato per i Recovery plan delle varie nazioni, prescrive in capo ai governi, l'obbligo di giustificare in che modo ritengano di dover intervenire per dimezzare il gap di genere. Come, insomma, vogliono spendere questi fondi, che rappresentano una vitale opportunità per la nostra società e per ridare ossigeno ad un sistema economico quasi al collasso.

Il tempo di intervento non è differibile, poiché i soldi vanno spesi entro il 2026 ed impegnati entro il 2023. La classe Politica, quindi, è chiamata ad un lavoro di grandissima responsabilità e lungimiranza, per risollevare le nostre famiglie in primis, riservando l'attenzione che merita al ruolo della donna nella società.

Le statistiche recenti ci confermano che le donne italiane che lavorano, non raggiungono ancora un tasso di occupazione accettabile, rispetto alla media del resto d'Europa; che quelle che hanno un lavoro, vengono pagate molto meno rispetto ai colleghi uomini; che l'assistenza familiare, dei figli e degli anziani, grava per intero sulle loro energie, e che le donne rispetto agli uomini, posseggono un tasso di istruzione superiore. Sono infatti più le laureate femminili(ma non ancora molte nelle materie scientifiche e di ingegneria ed innovazione tecnologica), ma vengono sorpassate dal genere maschile, in termini di carriera, di incarichi di responsabilità e stipendi. A questo, aggiungiamo che la violenza di genere, rischia di spezzare le ali delle future generazioni femminili (un femminicidio ogni 5 giorni), se non si inverte un radicato fenomeno culturale che considera la donna un oggetto, su cui poter esercitare ogni bieca forma di possesso e sopraffazione, l'allarme continuerà ad essere una triste e sconcertante deriva sociale.