The Voice of Italy abilita la modalità ‘Live’ e si prepara all’atterraggio dopo una brusca perdita di quota che rasenta uno sfracello alla Star Academy. Stando ai dati divulgati da Tv Blog, la quartaedizione del talent show di Rai 2 – prodotto da Talpa Italia con la partnership di Universal Music –ha quasi dimezzato il suo pubblico. Dei 3.500.000 telespettatori della primapuntata sono rimasti in 1.796.000 nella dodicesima, con uno crollo di share rovinoso (dal 14,74% al 7,85%).
Quel che è peggio è che si è arrivati alle fasi finali senza il concorrente migliore dell’intera edizione, l’unico sopra la media su cui poter investire per una carriera nel mondo della canzone.
Parliamo di Massimo Cantisani: un piccolo Prince nato in terra lucana e trapiantato a Roma, che, nonostante lo stop - si spera secondo copione – di Dolcenera, infierisce sulla debolezza del programma con un debutto discografico dal respiro internazionale. “Resti qui” è il singolo che anticipa l’EP di prossima uscita con la sua super band romana dai connotati hip-hop/neo-soul, La Base, e che è già in vendita su iTunes e in streaming video su YouTube.
L’esclusione a vantaggio di Joe Croci, dall’approccio pop-folk acerbo, scandalizza, ma non sorprende. A dispetto della rivoluzione in postazione ‘giudici’, che si risolve in un one-woman show di Dolcenera, il format è infatti minestra riscaldata. Con generose pennellate di egocentrismo, superiorità e schiettezza, la cantautrice salentina – il cui smalto ultra televisivo ci riporta ai tempi di Music Farm – si diverte a spegnere sia i numerosi concorrenti privi di talento sia le tre poltrone rivali: quella riciclata di Raffaella Carrà, icona gay oramai fuori fase, quella fin troppo leggera di Max Pezzali e quella irrinunciabilmente tatuata di Emis Killa.
Ma sugli errori del programma non c’è vernice che tenga.
Errori su più fronti e alla luce del sole, che vengono ignorati e riproposti. Basti pensare alla spettacolarizzazione di Cristina Scuccia, suora dalla competitività massima e dalle qualità vocali pari a zero, o alla gestione post-vittoria di Elhaida Dani e Fabio Curto.
Entrambi spersonalizzati, banalizzati e rispediti al mittente. E quindi all’Albania, per quanto riguarda Elhaida, dove se non altro è riuscita a giocarsi la carta dell’Eurovision Song Contest con un brano incisivo, e ai portici bolognesi, nel caso di Curto, dove per lo meno la genuinità dell’arte di strada è preservata da operazioni commerciali al ribasso.
Per non parlare poi di due esclusioni clamorose restituite al Salento: Carlo Adamo, carismatico frontman della rock band I Misteri del Sonno, e Simone Perrone, cantautore e romanzieredalle mille risorse. Il primo non ha avuto il sì di nessun giudice e oggi si accaparra i favori di critica e pubblico per la sua voce, potente e graffiante, e il suo primo long playing, “Il nome dell’album è I Misteri del Sonno”. Il secondo invece è stato abbandonato nel corso del programma da Piero Pelù per proteggere un’interprete a sua volta protetta dalla produzione con sforbiciate in fase di montaggio laddove venivano a galla falle incolmabili.
E in quest’ultima edizione? Perché Carlo Conti dovrebbe accogliere l’appellolanciato da Dolcenera e dalla Carrà, e quindi inserire tra i Big del suo prossimo Sanremo il vincitore di The Voice 4?
Per un vincitore degno di nota, bisognerebbe costruire un puzzle con la timbrica di Giorgia Alò, la follia di Alice Paba e la femminilità di Beatrice Ferrantino, poiché il resto è vuoto cosmico. Vista l’impossibilità di tale operazione di assemblaggio, si potrebbe optare per un opzione più intelligente e semplice: ripescare dal prezioso cestino dell’infelice storia di The Voice of Italy. Un atto riparativo che farebbe bene a tutti. In primis al talent in caduta libera, che, se non vuole inserire nel suo team di lavoro menti più competenti e brillanti, può sempre tener presente un antico detto: ‘Sbagliare è umano, perseverare è diabolico’.