Poco prima delle elezioni USA, un sondaggio commissionato dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, fatto per rilevare l’opinione degli italiani sul loro candidato preferito, ha rivelato una netta preferenza per la Clinton. Anche in Europa e nel mondo, le previsioni erano quasi tutte per la vittoria della candidata donna. Inaspettatamente, ha vinto #Trump: ora tutti aspettano le mosse del neoeletto presidente della nazione più potente del mondo.

Mentre tutto il mondo è in attesa del suo insediamento, molte sono le incertezze su Trump; soprattutto per la propria estraneità all’establishment della politica statunitense e alla conseguente incertezza su chi nominerà nel suo staff.

Molto attesi sono i nomi del segretario di stato e del consigliere alla sicurezza nazionale, i due posti chiave della diplomazia americana. Solo dopo che si sapranno, gli osservatori potranno farsi un’idea più chiara sui futuri intenti USA in politica estera.

Trump, divenuto il cavallo di battaglia dei repubblicani, governerà con una camera e un senato ampiamente controllate dal suo partito. La mancanza di un’efficace opposizione da parte dei democratici accresce il suo margine di manovra, aggiungendo timori per la sua eccessiva forza dovuta alla mancanza di validi avversari che lo contrastino.

Il neo eletto presidente USA, pur non essendo stato appoggiato da alcune fazioni del suo stesso partito repubblicano, ha vinto conquistando anche alcuni stati tradizionalmente democratici.

Questa strana combinazione ha provocato confusione, incertezze e interrogativi all’interno del partito democratico stesso, il quale è uscito indebolito e sfiduciato politicamente dalle elezioni. La debolezza dei democratici, fanno accrescere sia il suo potere che i timori di coloro che evidenziano il suo carattere egocentrico, strabordante e impulsivo.

Tratti poco auspicabili per l’uomo che ha il timone del paese fra i più potenti del mondo.

Trump, in campagna elettorale, ha urlato proclami estremamente populisti, dimostrando uno spiccato nazionalismo scendendo, a tratti, nello sciovinismo. Neanche tanto fra le righe, ha fatto chiaramente emergere la sua visione negativa verso la globalizzazione o il liberalismo, se non nella misura in cui ne beneficiano gli Stati Uniti riguardo a immediati interessi nazionali, economici e di sicurezza.

Questa chiusura è malvista agli occhi dei ministri economici europei, e alcune cancellerie hanno mostrato un dissimulato gelo nel congratularsi con Trump immediatamente dopo la sua elezione.

Fin quando non manifesterà chiaramente le sue mosse in politica economica restano molti timori rispetto le sue poco auspicabili chiusure.

Criticando la condotta della guerra al terrorismo basata sull’impiego, su larga scala, della forza militare in Iraq e Afghanistan, Trump ha promesso meno interventismo all’estero. Anche qui, gli osservatori aspettano di capire l’esatta misura del suo promesso disimpegno militare. Ma, di più, tutti vogliono sapere quali saranno le ‘regole di ingaggio’ che adotterà Trump in caso di crisi internazionale.

Di sicuro gli interessi americani saranno sempre e comunque tutelati. Tuttavia Typhoon sta allontanandosi dall’ideologia Responsibility to Protect. E se è vero che gli interventi nelle aree calde portano, a conti fatti e a composizione delle crisi avvenuta, ad un aumento dell’influenza di chi esporta la democrazia, è anche vero che l’estremo nazionalismo di Trump lo porta, ideologicamente, a chiudersi all’interno dei propri confini, se non direttamente compromessi. Un atteggiamento, questo, che difficilmente è stato adottato dagli Stati Uniti, considerati da sempre la ciambella di salvataggio per tutte le democrazie che, a vario titolo, vacillano.

La tutela del clima e dell’ambiente non fermeranno di certo lo sviluppo degli USA. Questo è l’atteggiamento di Trump su questi temi. E in un pianeta proteso al ‘sostenibile’ i green insorgono preoccupati per la sua insensibilità.