In questi giorni viene discussa l'approvazione di un disegno di legge approdato in Senato ove si cerca di affrontare e regolamentare il fenomeno, indubbiamente deplorevole, dei siti di Fake News. Come accade sempre, bisogna distinguere tra gli intenti di facciata, sempre nobili, e il diavolo che, come al solito, si nasconde nei dettagli.

Fake news, il DDL Gambaro fa discutere

Il DDL, infatti, si compone di otto articoli che come da italica tradizione italiana, lasciano un ampio margine di interpretazione agli organi giudiziari, il presupposto principale di una cattiva legge.Cito testualmente il primo articolo: "E' punito con 5000 euro chi pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico".

Qui il primo dubbio: passi per il concetto di falsità ("CHI" è deputato a stabilire se una notizia è falsa? Si pensi alle riviste di geopolitica ove il controllo di veridicità è molto più arduo) ma chi stabilisce dov'è che si esagera? Per quanto riguarda l'aggettivo "tendenzioso", è sufficiente ricordare alla Gambaro (relatrice del DDL) che neanche le enciclopedie sono d'accordo sul significato di "tendenzioso".La Treccani la ritiene "una visione faziosa della notizia", Garzanti "Con una notizia falsa, influenzare la realtà", neanche le grandi case enciclopediche sono d'accordo.Ne deriva che chi vuole, attraverso la notizia in sè (non necessariamente falsa) proporre un punto di vista, è punibile con una pena di 5.000 euro.Il secondo articolo è anche peggiore; si parte da una premessa corretta ma le conclusioni sono peggiori.Infatti è punibile chi diffonde campagne d'odio attraverso il web: ma se una notizia genera odio, la colpa non è certo di chi la pubblica ma della notizia in sé.

Giusto punire chi ha attribuito a Fake news dichiarazioni contro il popolo italiano, ma si mette in mezzo anche chi fa informazione in maniera corretta pur tuttavia pubblicando contenuti che, per un verso o l'altro, generano indignazione morale.L'articolo 3, obbliga i titolari a registrarsi ai tribunali per poter aprire un sito e destinarlo alla diffusione di informazioni, il che è del tutto inutile e rientra nella tradizione italiana di introdurre una legge che già c'è ma non viene applicata.I gestori degli hosting sono già obbligati a controllare l'identità di chiunque registri un dominio o compri uno spazio.Se si puniscono i gestori di server che non fanno questo, si è risolto il problema e non vi è bisogno di intasare i tribunali (che già lavorano poco normalmente, figuriamoci con questo ulteriore aggravio).Il quarto articolo sembra, in apparenza, ineccepibile: chi è titolare di una piattaforma è tenuto a dover ospitare le rettifiche di chi è oggetto di una notizia falsa.

Siamo sempre lì, chi stabilisce che la notizia sia falsa? L'articolo 8 è il peggiore di tutti perché attribuisce ad una commissione parlamentare il compito di monitorare i contenuti delle piattaforme informatiche, tradotto "se ciò che scrivete piacerà alla maggioranza parlamentare, non avrete problemi, viceversa diventerete spacciatori di informazioni false".In parole povere, ad un fenomeno indiscutibilmente deplorevole come quello delle fake news, si risponde con una regolamentazione del web che ridurrà ancor di più la libertà di informazione, cercherà di punire i tanti che fanno un tipo di informazione non allineata al sistema, di fatto creando un bavaglio.

L'unico modo di disciplinare il fenomeno delle fake news è l'applicazione di reati già esistenti nel codice penale: diffamazione, ingiuria, calunnia, minaccia. Applicati seriamente, il fenomeno si riduce dell'80-90%. Per il resto, tutto sta alla capacità del lettore di affidarsi a testate di riconosciuta credibilità per formarsi un'opinione. A fronte di questo, adesso almeno sappiamo a cosa servivano i siti di fake news, appositamente gonfiati per farli diventare famosi e additarli come il male assoluto: creare un fronte d'opinione che giustifichi l'ennesimo provvedimento liberticida.