I ricordi sono inzialmente confusi, sono quelli di un adolescente. Si traducono in quell'insolito comunicato comparso sullo schermo televisivo nel momento in cui qualcuno aveva cambiato canale su Rtc, la più seguita delle emittenti trapanesi dell'epoca. A Seul, in Corea del Sud, erano in corso le Olimpiadi e questo lo ricordo bene, a tenere banco proprio in quella strana serata era la notizia della positività al doping di Ben Jonhson. La notizia della morte di Mauro Rostagno giunse come un fulmine a ciel sereno, eppure noi adolescenti siciliani di quell'epoca avevano piena consapevolezza di una mafia spietata che toglieva di mezzo qualunque ostacolo in maniera sbrigativa: poliziotti, magistrati, giornalisti.

Soltanto il giorno prima era stato assassinato il giudice Antonino Saetta sulla statale Agrigento-Caltanissetta e nelle campagne del trapanese, poco più di dieci giorni prima, Cosa Nostra aveva ucciso il giudice Alberto Giacomelli. Il 26 settembre del 1988, trent'anni fa, sarebbe toccato a Mauro Rostagno.

Feroce attacco alla libertà di stampa

Mauro Rostagno... mi piaceva quell'uomo vestito di bianco che quotidianamente entrava nelle case dei trapanesi. Si esprimeva con parole facilmente comprensibili, lo trovavo così diverso ed infinitamente più rassicurante di altri speaker e giornalisti. Ho messo qualche minuto per realizzare il contenuto di quel comunicato battuto da Rtc che ne annunciava l'uccisione.

Mi chiesi perché lo avessero ammazzato, non era un poliziotto o un giudice. Che fastidio poteva dare l'uomo del telegiornale? Quanto accadde a Trapani nei giorni immediatamente successivi mi fece comprendere la verità, quando per la prima volta vidi la mia città solitamente apatica ed in balia delle onde dei due mari che la bagnano, in preda ad un fremito di rabbia ed impotenza che non avevo mai visto.

Per me all'epoca Rostagno era solo l'uomo del telegiornale locale, non conoscevo il suo passato: non sapevo di Lotta Continua e del suo attivismo extraparlamentare negli anni '70. In quei giorni mi resi conto di chi fosse stato in realtà il mio 'amico televisivo' e presi coscienza della gravità di quell'atto criminale che, oltre a porre fine alla vita di un uomo, aveva determinato un gravissimo attacco alla libertà di stampa e di informazione.

Lo avevano ucciso per la più semplice delle motivazioni: Mauro Rostagno non aveva paura.

Una 'camurria' per Cosa Nostra

In questi trent'anni sono cambiate tante cose e tanti veli sulla mafia sono stati squarciati, grazie al lavoro di persone come Mauro Rostagno. Oggi sappiamo ufficialmente che fu la mafia ad ucciderlo, perché con le sue inchieste giornalistiche l'uomo del telegiornale di Rtc aveva accesso molteplici spie sui traffici di Cosa Nostra, sugli intrecci con la politica e la massoneria deviata. Mauro era diventato una grossa 'camurria', in questo modo si era espresso Francesco Messina Denaro, padre dell'attuale latitante Matteo Messina Denaro che in quell'epoca governava il mandamento mafioso della provincia di Trapani.

E la città di Trapani, indolente, sonnolenta ed abulica per vocazione, gli mostrava il suo vero volto: quello di una zona grigia dove l'organizzazione criminale ormai al passo con il tempi controllava la politica e l'imprenditoria. Così quell'uomo che quotidianamente ne denunciava le malefatte dagli schermi televisivi era diventato un grosso problema.

Un processo tormentato e non ancora concluso

Quanti anni ci sono voluti perché la gente venisse a conoscenza della verità ufficiale sul delitto Rostagno. L'ultimo procedimento giudiziario è stato aperto nel 2011, dopo una lunga serie di ipotesi e depistaggi che avevano portato la magistratura a cercare altrove i responsabili della sua morte, avvenuta in contrada Lenzi di Valderice il 26 settembre del 1988, davanti alla comunità di recupero per tossicodipendenti Saman da lui fondata insieme a Francesco Cardella.

La pista mafiosa fu la prima battuta, poi accantonata in favore di una fantasiosa tesi legata al passato del sociologo torinese all'interno dei movimenti della sinistra extraparlamentare. Poi era stata seguita anche una pista interna a Saman, poi l'archiviazione alla voce 'delitto commesso da ignoti'. Infine la riapertura del processo che ha portato nel 2014 alla condanna del boss Vincenzo Virga e di Vito Mazzara in qualità di mandante ed esecutore dell'omicidio. Ma questa è una storia infinita ed i colpi di scena sono sempre dietro l'angolo: così quest'anno si è arrivati alla clamorosa assoluzione di Mazzara in appello. In attesa del pronunciamento della Cassazione, trent'anni dopo quel maledetto 26 settembre' non sappiamo ancora chi, materialmente, ha premuto il grilletto che ha ucciso Mauro.

Il ricordo

Non ho mai conosciuto personalmente Mauro Rostagno, quando è morto avevo 16 anni e lo conoscevo come l'uomo del telegiornale. Gli devo l'amore per la professione di giornalista, suo malgrado perché, probabilmente, senza la sua tragica fine non sarei stato investito da tante emozioni forti che mi avrebbero portato a serie riflessioni sulla mia terra natia e su cosa realmente volevo fare da grande. Oppure, forse sarebbe stato lo stesso e, magari, iniziando negli anni a venire questa professione avrei avuto il piacere di conoscerlo davvero e lavorarci fianco a fianco, così come ho fatto con persone e colleghi che hanno avuto questo privilegio. Mi sono anche reso conto che, dopo la sua morte, i suoi 'amici' si sono moltiplicati, anche coloro che nutrivano nei suoi confronti poca simpatia, ma in realtà una grande invidia.

Mauro possedeva il dono naturale di ogni buon giornalista, quello di comunicare e farsi intendere da tutti attraverso uno schermo televisivo, dall'intellettuale come dalla casalinga. Non è un dono che spicca, oggi, nel mondo dell'informazione e la realtà odierna viene talmente distorta da mezzi di propaganda di massa come i social network, che diventa difficile per l'utenza comprendere dove stia il vero. Mi chiedo spesso come si comporterebbe Rostagno dinanzi ai nuovi sistemi di comunicazione, magari li avrebbe abilmente cavalcati, di certo non si sarebbe arreso dinanzi a questo evidente appiattimento. Tra i tanti ricordi di chi, davvero, lo ha conosciuto, ho trovato parecchio gradevole quello di Giacomo Pilati su Repubblica.

Secondo il collega, Rostagno fu protagonista dell'unica vera 'Primavera trapanese' e con il senno di chi ha vissuto gli ultimi trent'anni nella città falcata è impossibile dargli torto. Pilati ricorda in particolare la sua risata, un dettaglio che ha voluto sottolineare tramite un post su Facebook,

La rivoluzione, purtroppo, non è tornata e, forse, non è mai partita davvero. L'involuzione della società italiana, al contrario, è in atto e sembra inarrestabile. Chissà cosa penserebbe Rostagno di dilettanti allo sbaraglio che fanno politica, di opinionisti improvvisati che sguazzano nella grande menzogna di una presunta libertà sul web, di inquisitori che diffondono odio rispolverando campagne di difesa della razza, di tonnellate di ignoranza impresse sulle pagine virtuali dei social network da eserciti di analfabeti funzionali. Chissà... forse oggi da qualche parte Mauro Rostagno se la sta ridendo ed avrà tirato un sospiro di sollievo per essersi risparmiato tanta miseria.