C'è una guerra silenziosa che l'America di Obama combatte ogni giorno. E' la guerra dei veterani, dei militari dell'esercito e dei marines che tornano in patria dalle missioni di guerra sparse in tutto il mondo, sani e salvi o feriti e mutilati, ma che poi si tolgono la vita. E non si tratta di numeri isolati, ma di un fenomeno che manifesta la sua drammaticità nei suoi numeri. Ben 22 suicidi giornalieri tra i soldati americani, uno ogni 65 minuti, ottomila all'anno.

Mentre Obama ne parla, mentre qualcuno sta pensando a come assistere i soldati che tornano dalle guerre, mentre scrivo l'articolo per informare i tanti che non sanno, almeno uno dei soldati americani sta per premere il grilletto.

Per farla finita con la guerra, quella che si è scatenata nella sua testa: la sua missione è finita, ora tocca a qualcun altro andare in Afganistan o in Iraq. Ma quella guerra poi te la porti in patria, nella vita quotidiana che fatica a riprendere, tra i perché di tanta violenza che per i tanti sono discosti come un canale televisivo, ma che per i soldati sono terribilmente reali.

E' una guerra silenziosa che negli Usa viene combattuta da 23 milioni di veterani. Quelli che hanno più di 50 anni e si suicidano pagano il prezzo del conflitto in Vietnam o della prima spedizione in Iraq nel '91. E sono il 69% dei suicidi. Guerre lontane nel tempo ma che continuano a mietere vittime. Il 31% dei veterani suicidi ha meno di cinquant'anni.

Sono la nuova generazione, quelli delle guerre a fin di bene, ma che forse hanno già capito che altro non sono che tanti nuovi Vietnam.

E allora il governo americano dovrà inventarsi qualcosa di più convincente per vincere il disagio dello stress, del reinserimento nella vita sociale e pacifica dei militari che tornano dalle missioni: è questa la prima riconversione che attenderà Obama nei prossimi mesi del suo mandato per non farsi travolgere dall'opinione pubblica.