La segretaria della Cgil Susanna Camusso, parlando ieri ad un convegno della Cgil, è tornata a criticare il governo Renzi sui decreti legislativi che hanno dato applicazione al cosiddetto Jobs Act. Camusso ha detto che c'è stata una "torsione rispetto al rapporto con il Parlamento", nel senso che sia nel Governo che nel Parlamento ci sarebbe una "idea del potere legislativo" che è "distante dal dettato costituzionale". E ancora: "il fatto che il governo non abbia tenuto conto del parere delle commissioni rappresenta un vulnus".

La Camusso, come nei giorni scorsi Landini e altri diversi esponenti della sinistra Pd, ha fatto riferimento al parere delle Commissioni lavoro di Camera e Senato, che dovevano esprimere un parere (non vincolante) sui decreti legislativi varati dal governo.

Com'è noto infatti i decreti legislativi sono i testi varati dall'esecutivo sulla base di una delega votata dal Parlamento. Questi decreti vengono esaminati dalle Commissioni competenti, che esprimono un parere.

E' bene ricordare che il voto delle Commissioni sui decreti del governo non è stato un voto contrario, ma favorevole. Al momento del voto una parte della maggioranza si è astenuta. La Commissione ha tuttavia rilasciato una serie di "condizioni" al "rilascio del parere favorevole". Tra le altre: che in caso di licenziamento collettivo continuasse ad applicarsi la norma precedente, e non si applicasse dunque il testo previsto nel Jobs Act.

Il fatto di non aver ascoltato questi pareri ha fatto sollevare le critiche, che sono venute dal sindacato ma anche dalla Presidente della Camera Laura Boldrini.

La risposta data ieri dal Pd - che con il vicesegretario Lorenzo Guerini ieri ha detto che quei pareri appunto non erano vincolanti - non appare sufficiente a far decantare la polemica. Infatti - come dice oggi in una intervista ad un quotidiano anche il capogruppo Pd Speranza - accogliere quei pareri non era obbligatorio ma sarebbe stato "opportuno".

Speranza dice di non condividere gli allarmi sul rischio di una "deriva antidemocratica", ma dice anche al governo che mantenere dei rapporti corretti con il Parlamento è importante per la stessa sorte dell'esecutivo.

A chiedere al governo di "non tornare indietro" sul tema dei licenziamenti collettivi, ovvero di non accogliere il parere del Parlamento, e di evitare di far rimanere in vita la norma che consente il reintegro in caso di licenziamenti collettivi ingiustificati, erano stati diversi giuristi del lavoro, che avevano spiegato come il licenziamento collettivo è "determinato da sole ragioni economiche" e dunque per questo devono operare le stesse regole che valgono per i licenziamenti individuali.

"Se sopprimo da uno a quattro posti di lavoro illegittimamente l'impresa è tenuta a indennizzare il lavoratore, non si capirebbe perché se ne sopprimo 5 debba essere tenuta al reintegro", aveva detto ad esempio il giurista Arturo Maresca.

Il sindacato, dal canto suo, ha fatto notare tuttavia che con la norma varata dal governo, il licenziamento collettivo ha comunque un doppio binario: per i nuovi assunti si prevede, nel caso di licenziamento illegittimo, la sola indennità. Dunque vecchi e nuovi assunti si troveranno ad avere tutele diverse nell'ambito della stessa procedura di riduzione del personale. Per questo il sindacato aveva invitato a prevedere anche per i nuovi assunti gli stessi criteri usati per i vecchi dipendenti, inviti "rimasti purtroppo inascoltati da parte del Governo". La sensazione insomma è che il tema - in sé forse marginale - rischi di aprire falle e pericoli per il governo nel percorso dei prossimi provvedimenti che il Parlamento dovrà esaminare.