Vladir Putin ha fatto un altro passo, ospitando al Cremlino il presidente siriano Bashar al-Assad. Viaggio inatteso e primo che Assad fa fuori dai confini del suo Paese dal 2011, data di avvio della guerra civile siriana. L'aver ospitato il presidente siriano permette a Putin di mettere in evidenza come le forze governative siriane abbiano ripreso il controllo di buona parte del terrirorio che era stato loro sottratto. E questo grazie all'intervento russo che sta martellando le linee dell'Isis in Siria.

Il viaggio di Assad è, quindi, più un'operazione politica e di immagine che una necessità di incontro: Putin voleva sottolineare il rientro verso la normalità che la presenza della Russia in Siria riesce a garantire.

Una ulteriore mossa del Cremlino che rimescola le carte del Medio Oriente, fin adesso in mano esclusivamente agli Usa.

Salvate il soldato Assad

La prima conseguenza è che la defenestrazione di Assad, nemico di Usa e Arabia Saudita, scivola via dal tavolo dei progetti americani e sauditi. Putin ha detto chiaramente che la "transizione politica" siriana non va fatta tagliando la testa ad Assad, che gode peraltro del sostegno degli Hezbollah libanesi e delle truppe iraniane. Lo ha detto chiaramente Putin nel suo intevento al Cremlino: "La guerra in Siria deve prevedere un processo che coinvolga forze politiche, etniche, religiose". Una soluzione interna alla Siria.

Per la Russia, la fine della guerra in Siria deve comunque evitare quel che è accaduto in Libia e Iraq dove, dopo l'intervento militare Usa, ci sono oggi Paesi in preda fanatismo islamico.

Questo è fondamentale per Putin che non può rischiare di importare terrorismo entro i suoi confini. I servizi di sicurezza russi stimano oltre 4000 persone partite dai territori russi per andare a combattere con l'Isis ed i russi non vogliono certo che questi abbiano base in Siria e tornino in "Patria" con esperienza ed armi per fare sabotaggio,

Lo sbandamento Occidentale: il contrattacco via mass media

Queste posizioni russe delle ultime settiname, che vanno dall'uso della forza all'offensiva diplomatica, hanno scompaginato i piani delle forze guidate dall'America.

Che, a dire il vero, è strettamente seguita solo dall'alleato storico, l'Inghilterra. Non potendo ricorrere alle armi contro la Russia per la deterrenza reciproca, sono corsi alle "armi della persuasione di massa" grazie ai grandi gruppi editoriali mondiali a cui hanno accesso.

Dapprima, si è cercato il "casus belli" - in inglese il "false flag" - per provocare la Russia con la drammatizzazione di uno sconfinamento di un areo russo in territorio turco.

Una deviazione dal piano di volo di pochi secondi causa del maltempo. Un fatto che si è sgonfiato subito. Immediatamente dopo, la agenzia olandese Dutch Safety Board, ha pubblicato il proprio report sulla cause dell'incidente del volo MH11 della Malaysia Airlines, in cui, senza menzionarlo direttamente, ha fatto capire che l'aereo era stato abbattuto da un missile del tipo BUK, di fabbricazione russa ed in possesso anche dei separatisti ucraini.

Obama in campo contro Putin

Visto lo scarso successo nello screditare la Russia, in campo è sceso anche direttamente il presidente degli Usa, Barak Obama. Un intervento necessario dato che in America oltre il 70% degli intervistati pensa che l'intervento di Putin in Siria sia stato "risolutore".

Obama ha indicato l'attività bellica di Putin come qualcosa che viene più dalla debolezza di Putin che dalla sua forza. Obama ha dovuto però ammettere che la politica Usa in Siria è stata fallimentare: dei circa 5400 "ribelli" siriani addestrati dagli Usa, solo 4 o 5 si ritiene abbiano combattuto realmente ma con un costo di addestramento vicino ai 500milioni di dollari.

Un costo elevatissimo ma che ha di fatto favorito i terroristi islamici: la Divisione 30, addestrata dalla Cia, è passata in massa, armi e bagagli ai tagliagole di Jabhat al-Nusra.