Il 31 agosto e il 2 settembre scorsoMariano Rajoy, a cui il re aveva conferito l’incarico di presiedere il nuovo governo spagnolo, non è riuscito a ottenere la fiducia del Congresso dei deputati. Al primo tentativo avrebbe dovuto ottenere almeno 176 voti a favore, ma si è fermato a 170; al secondo turno, ottenendo gli stessi voti, si sarebbero dovuti astenere almeno undici deputati degli altri partiti, ma ciò non è successo. Così il suo mandato è automaticamente scaduto e il boccino è tornato in mano a re Felipe V.
Dopo due elezioni politiche in sei mesi (23 dicembre 2015 e 26 giugno 2016), che hanno dato vita ai parlamenti più frammentati della sua storia democratica, priva di governo da più di dieci, la Spagna è quindi caduta in una crisi politica dagli esiti imprevedibili.
Senza governo, inoltre, non è possibile presentare alle Cortes la legge di Bilancio 2017 e, in previsione, l’ Unione Europea minaccia di bloccare l’erogazione dei fondi strutturali, con tutte le conseguenze per l’economia spagnola che sembrava in ripresa.
L’attendista Felipe V e l'opportunista Rajoy
Secondo la Costituzione, dalla data della prima “bocciatura” del governo incaricato, decorrono sessanta giorni a disposizione del sovrano per risolvere la crisi, pena la convocazione automatica di nuove elezioni, da tenersi dopo ulteriori due mesi (le terze in un anno!). II 31 ottobre prossimo, quindi, scadrà anche questo termine perentorio ma Felipe V non sembra preoccuparsi più di tanto. Prima di prendere altre decisioni, infatti, ha atteso gli esiti delle elezioni regionali in Galizia e nei Paesi Baschi, tenutesi il 25 settembre, che hanno scombussolato nuovamente l’assetto politico madrileno già tanto disperato.
Rajoy, infatti, ha rialzato la testa, perché in Galizia il suo Partito popolare (Pp) ha conquistato la maggioranza assoluta, mentre il suo principale antagonista (cioè il Partito Socialista-PSOE, che non aveva concesso l’astensione alla Camera, il 2 settembre scorso) è sceso al minimo storico, facendosi sorpassare dall’estrema sinistra di “Podemos”.
A questo punto, la volontà di Rajoy di varare un governo minoritario sembra essere ulteriormente scemata.
Il dramma dei socialisti
Nell’altro campo, il leader socialista Pedro Sanchez, che tanto si era opposto a un possibile appoggio esterno del suo partito al governo a guida Pp, è stato costretto a dimettersi dalla carica di segretario politico.
I socialisti sanno che se si tornasse nuovamente a votare, il partito calerebbe ai minimi termini. Per questo molti ritengono opportuno appoggiare dall’esterno Rajoy, quanto meno per un biennio di transizione. Ma l’ala dura del partito non sembra disposta a cedere.
Il tempo a disposizione dei socialisti spagnoli per risolvere le loro questioni interne, però, sta per scadere. Il tempo stringe e, se il sovrano non si è dimostrato disposto a mettere fretta ai partiti, Mariano Rajoy vede nelle terze elezioni ravvicinate, la possibilità di conseguire finalmente la maggioranza assoluta, in alleanza con la destra di “Ciudadamos”.
Le terze elezioni in un anno saranno risolutive?
E’ facile, per il PP, rivolgersi agli elettori indicando il PSOE come forza disfattista e inconcludente per il paese.
Anche la sinistra populista “Podemos” sa che, votando di nuovo, supereranno il socialisti e rivestiranno il ruolo della maggior forza di opposizione di sinistra in Parlamento. Di certo, la politica, a Madrid, ha imboccato un tunnel di cui ancora non si vede ancora la luce.