Dopo alcuni giorni di colloquio, il ministro dell’interno italiano Marco Minniti ha raggiunto un accordo con il governo di Tripoli, presieduto da Fayez Serraj, relativo soprattutto alla lotta contro il traffico di uomini e di droga e al terrorismo.

Se la libia costituisce tuttora il centro di provenienza del flusso dei migranti e di altre attività illecite verso l’Italia, non ne consegue che l’accordo comporti la risoluzione di tali problemi, dato che Tripoli controlla attualmente soltanto il 10-15% del territorio libico. Dal momento del suo insediamento (marzo 2016), tuttavia, Serraj presiede il governo locale legittimamente riconosciuto e l’Italia vi mantiene rapporti di assistenza umanitaria, avendo insediato un ospedale militare (con relativo presidio armato) nei pressi dell’aeroporto di Misurata.

Proprio da Misurata – le cui forze rappresentano l’alleato militare locale più sicuro per Tripoli – è partita l’offensiva che ha portato alla riconquista di Derna (aprile 2016) e di Sirte (dicembre), le due roccaforti dei miliziani dell’ISIS in territorio libico. Gli ultimi miliziani, tuttavia, sembrano essersi rifugiati nelle zone desertiche interne del Fezzan, in un’area che può essere considerata “terra di nessuno”.

Che cosa ne pensa il generale Haftar

Nel frattempo, l’”uomo forte” della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar – che ancora non riconosce il governo Serraj – è riuscito a impadronirsi dei terminal petroliferi della Cirenaica, strappandoli a un “signore della guerra locale”, alleato di Misurata ma non proprio anche di Tripoli.

Fortunatamente, il nuovo padrone dei pozzi permette alla compagnia petrolifera nazionale di Libia di gestirli secondo gli accordi con le compagnie occidentali (ENI, Repsol e Total) e di destinarne i proventi alla banca centrale di Libia.

Sull’intesa cordiale tra Roma e Tripoli, nei giorni scorsi Haftar, dal suo superprotetto quartier generale di Bengasi, ha dichiarato, in un’intervista a un giornale italiano, che «gli italiani in Libia sono sempre benvenuti; peccato che abbiano scelto di stare con i nostri nemici».

Haftar, ufficialmente, non comprende il governo Serraj tra i suoi nemici; ciò significherebbe mettersi contro l’ONU e gli Stati Uniti che riconoscono Tripoli come unico governo legittimo. L’ONU infatti, è ancora in attesa che il generale di Bengasi riconosca finalmente Serraj e si giunga una volta per tutte alla riunificazione del paese.

Haftar si sarebbe riferito alle truppe di Misurata che, comunque, come detto, rappresentano il “braccio armato” del governo ufficiale.

Chi c’è dietro il comandante di Bengasi

Nella stessa intervista, Haftar si è posto come interlocutore con il governo italiano per il controllo dei confini meridionali della Libia, per bloccare il flusso dei migranti già alla frontiera del paese. Ciò sarebbe attualmente impedito proprio dalla presenza delle ultime frange di jihadisti; volutamente, il generale ha insinuato che alcune brigate di Misurata siano ancora comunque in buoni rapporti con l’ISIS.

Al momento, è evidente che Khalifa Haftar punti alla “neutralizzazione” delle truppe di Misurata per giungere al controllo militare dell’intera area, prima di trattare – da posizioni di forza – con il governo Serraj.

Dietro di lui c’è l’Egitto, il cui governo è in lotta con i “fratelli musulmani”, ideologicamente molto vicini ai jihadisti. Dietro all’Egitto, poi, c’è la Russia che, negli ultimi anni ha provveduto ad armare Il Cairo mentre gli Stati Uniti, tramite l’Arabia Saudita, provvedevano – indirettamente – ad armare l’integralismo islamico.

Anche in Libia, come in Siria, sembra che la lotta al terrorismo e la stabilizzazione del territorio sia fattibile solo scendendo a patti con Putin.