Il 12 ottobre, al Cairo, le due componenti principali dei movimenti di liberazione della Palestina – Hamas e Al Fatah - hanno raggiunto un accordo di riconciliazione, dopo anni di scontri fisici e politici, culminati con la formazione, da parte di Hamas, di un suo governo autonomo nella striscia di Gaza, nel giugno del 2007.

Al Fatah è l’organizzazione “storica”, fondata da Yasser Arafat, prima terrorista e poi convertitosi alla causa della pace, da ottenere mediante negoziato con Israele che, dal 1967, occupa il territorio della Cisgiordania, abitata dal popolo palestinese e, sino al 1994, anche della striscia di Gaza.

Hamas, invece, è sorta nel 1987, come braccio operativo dell’organizzazione fondamentalista egiziana dei “Fratelli musulmani” e non ha mai riconosciuto Israele, ritenendo mai conclusa la guerra arabo-israeliana iniziata nel 1948.

Sul piano giuridico, l’accordo, annunciato dal leader di Hamas Ismail Haniyeh e poi confermato dagli altri esponenti palestinesi, va considerato come stretto tra l’Autorità Nazionale Palestinese, avente sede nella Cisgiordania e dominato dal Al Fatah, unico soggetto riconosciuto dalla comunità internazionale in rappresentanza del popolo palestinese, e il Comitato governativo di Gaza, formato da Hamas. Quest’ultimo accetta di sciogliersi e di confluire nell’ANP, in attesa di libere elezioni che ridefiniranno la composizione dell’Autorità Nazionale stessa.

Una svolta preparata da mesi

La “svolta” in realtà era stata preparata da mesi, con la regia del Presidente egiziano Al Sisi. Il Cairo controlla l’unico varco che mette in comunicazione Gaza con il mondo “non-israeliano”, e lo ha chiuso da mesi. Il governo egiziano, infatti, non vede di buon occhio eventuali contatti tra Hamas e la forza di opposizione dei “Fratelli musulmani”.

L’ANP, inoltre, è in grado in ogni momento di impedire i rifornimenti idrici alla striscia, posti economicamente a suo carico, da parte di Israele. Hamas, dunque, si trovava necessariamente sull'orlo del collasso.

Già nello scorso mese di maggio, quindi, Hamas aveva solennemente proclamato di battersi per uno Stato Palestinese territorialmente limitato ai confini della Cisgiordania e di Gaza, riconoscendo implicitamente l’esistenza di Israele all’interno dei confini del 1967, pur senza rinunciare alla rivendicazione del diritto di rientro per i palestinesi "esodati" a seguito delle guerre del 1948 e del 1967.

L’Autorità Nazionale Palestinese, quindi, riprende possesso della striscia di Gaza, dove vivono circa 1,850 mil.ni di palestinesi, di cui 1,250 definiti “rifugiati” dall’ONU ma che, in realtà, sono solo i figli o i nipoti dei profughi di cinquanta o settanta anni fa. Si prevede inoltre lo schieramento di circa tremila uomini della Guardia nazionale palestinese e l’immediato controllo dei posti di frontiera. Per quanto riguarda lo scioglimento del “braccio armato” di Hamas, gli accordi tacciono.

Chi ha vinto e chi ha perso

Individuare chi ci ha guadagnato dagli accordi del Cairo non è semplice e, molto probabilmente, lo si saprà solo con il risultato delle elezioni dell’Autorità Nazionale. Al momento, l’apparente vittoria di Al Fatah e del suo leader Abu Mazen, infatti, potrebbe rivelarsi un boomerang.

In primo luogo, perché, ovviamente, Israele ha già preso la palla al balzo, comunicando che non può avere rapporti di alcun genere con organizzazioni comprendenti elementi che non riconoscano ufficialmente il suo diritto ad esistere (Tel Aviv si riferisce ad Hamas). In secondo luogo perché, come già avvenuto nel 2006, le previste elezioni politiche potrebbero essere vinte da Hamas e avere come conseguenza la sostituzione di Abu Mazen con qualche altro esponente meno democratico. L’ANP ha comunque alcuni mesi di tempo per “neutralizzare” – se vuole – il braccio armato di Hamas, grazie al controllo del territorio di Gaza, da parte della sua Guardia nazionale.

Va comunque rilevato che Hamas, con la modifica statutaria del maggio scorso e con i recenti accordi non può che “cambiare pelle” e trasformarsi sempre più in un organismo politico-rappresentativo piuttosto che un soggetto para-militare accusato di terrorismo come è stato sinora.