Sicilia, specchio fedele della situazione politica nazionale? Storicamente questa visione è esatta, per decenni la regione più meridionale d'Italia è stata un 'feudo' della Democrazia Cristiana che ha guidato il Paese in maniera costante durante la Prima Repubblica. Nel 1998, per la prima volta, la Sicilia ebbe un presidente espressione del centrosinistra, Angelo Capodicasa (in realtà era accaduto anche nel 1980, ma in quel caso il socialista Gaetano Giuliano esercitò un ruolo di facente funzione dopo che la mafia aveva ucciso il presidente in carica, Piersanti Mattarella), proprio nel momento in cui sullo scranno più alto di Palazzo Chigi sedeva Massimo D'Alema in rappresentanza dell'Ulivo.

Nel 2001, la prima volta che un governatore siciliano veniva eletto in maniera diretta, ci fu una sorta di plebiscito per Totò Cuffaro, leader di una coalizione di centrodestra, del tutto simile a quello che meno di un mese prima aveva portato Silvio Berlusconi al Governo. L'accoppiata Palermo-Roma riuscì al centrodestra anche nel 2008 con Raffaele Lombardo a Palazzo d'Orleans e Berlusconi a Palazzo Chigi. Il presidente eletto nel 2012, Rosario Crocetta, è invece espressione di una coalizione di centrosinistra ed è la stessa che guida il paese dal 2013. Chiaro che le maggiori forze politiche italiane guardino all'appuntamento odierno come ad una prova generale delle Politiche 2018. Ma la Sicilia è una terra controversa, difficile da governare e densa di problemi che riguardano anche l'Italia nella sua interezza, ma che in questa splendida isola al centro del Mediterraneo si presentano nudi e crudi.

Chiunque sia il prossimo governatore e qualunque forza politica avrà la maggioranza all'Assemblea Regionale Siciliana, dovrà necessariamente uscire dall'equazione fin troppo logica di 'Sicilia uguale test elettorale nazionale'. I nodi da sciogliere sono molteplici: la Sicilia vive uno stato di crisi permamente ed è facile puntare il dito su Crocetta e sulla maggioranza politica degli ultimi cinque anni.

In realtà il governatore uscente ha semplicemente avuto la sfortuna di reggere per ultimo una candela che in troppi avevano visto bruciare, senza evitare la fine della cera.

I candidati alla presidenza ed i problemi cronici della regione

Vige il silenzio elettorale, non entriamo dunque nel dettaglio di programmi e proclami e neppure dei sondaggi.

In quest'ultimo caso si parla ormai da settimane di un duello all'ultimo voto tra il centrodestra ed il Movimento 5 Stelle con un crollo del PD previsto e prevedibile. Le urne sono pronte a confermare o smentire tale visione. Cinque i candidati alla presidenza: Giancarlo Cancellieri (M5S), Claudio Fava (Mdp, Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista e Verdi uniti nella coalizione 'Cento Passi per la Sicilia'), Nello Musumeci (Fratelli d'Italia, Noi con Salvini, Udc, Forza Italia ed altri movimenti e liste civiche di centrodestra), Fabrizio Micari (PD, Alternativa Popolare, PSI e liste civiche) e Roberto La Rosa (Siciliani Liberi). Hanno girato l'isola spalleggiati dai vari 'big' dei rispettivi partiti presentando le proprie proposte e dibattendo di sviluppo economico, disoccupazione, povertà ed emigrazione.

Senza nulla togliere ai vari candidati ed attualizzando le problematiche alla società odierna, sono le stesse argomentazioni che i siciliani sentono da almeno tre generazioni.

Disoccupazione, povertà, emigrazione

Tutti hanno parlato di lavoro e sovente in Sicilia il lavoro è qualcosa di cui si parla come se fosse un concetto astratto. I governi del dopoguerra hanno i fatto i loro conti (e li hanno fatti male) con l'alto tasso di disoccupazione ed ancora oggi la Sicilia è tra le cinque regioni italiane il cui numero di persone senza lavoro è più del doppio rispetto alla media UE (8,6 %). La percentuale relativa al 2016 supera di poco il 22 e se mettiamo a fuoco la disoccupazione giovanile, il tasso sale fino al 57 %.

In questa poco invidiabile statistica, la Sicilia è seconda soltanto alla Calabria. La mancanza di lavoro incide direttamente sul tasso di povertà che, in questo caso, è il peggiore d'Italia. Dai dati Istat del 2015 si evince che la percentuale dei residenti a rischio di deprivazione materiale supera il 55 %. Prendendo a campione la variabile del reddito, la Sicilia è il fanalino di coda del Paese con la media di 25 mila euro a famiglia. L'effetto domino di conseguenza si estende anche al fenomeno dell'emigrazione che ancora oggi interessa il Mezzogiorno. In base ai dati Aire-Servizi Demografici sono oltre 744 mila i siciliani che attualmente hanno la residenza all'estero ed anche in questo caso è il dato più alto a livello nazionale.

I cittadini che sono trasferiti nel corso del 2016 sono oltre 11.500, il 17 % in più rispetto all'anno precedente.

Mafia, questa sconosciuta

Ci chiediamo pertanto se i candidati suddetti - ognuno certamente vuol cambiare la Sicilia a modo suo - conoscano a fondo questi dati. Oltretutto i cittadini più attenti avranno certamente notato che, tra gli argomenti sbandierati, ne manca uno che purtroppo è legato a doppio filo con la storia stessa dell'isola. La parola 'mafia', infatti, sembra progressivamente scomparsa dai comizi elettorali, come se Cosa Nostra avesse improvvisamente chiuso bottega. Sappiamo bene che non è così, nonostante l'organizzazione non sia più potente come negli anni '80 e '90, ma non per questo non esiste più.

Naturalmente fa eccezione in tal senso Claudio Fava, ma nel suo caso è piuttosto scontato essendo il figlio di Pippo Fava, giornalista ucciso per mano mafiosa nel 1984. Lui il problema lo sente sulla sua pelle, gli altri hanno preferito tenerlo sottotraccia.

Il 'partito degli astensionisti'

In verità il vero problema strettamente legato al voto del 5 novembre potrebbe essere l'alta percentuale di astensionismo. Nel 2012 raggiunse livelli record, oltre la metà dei siciliani non si presentò alle urne e votarono meno del 48 % degli aventi diritto contro il 66,68 % del 2008 (il dato più alto in assoluto), il 59,16 del 2006 ed il 63,47 del 2001. Il dato di cinque anni fa, insieme all'incredibile ascesa del M5S, portò al disfacimento di quel blocco di potere detenuto dal centrodestra per oltre un decennio.

Oggi è un nemico comune di tutte le forze politiche considerato che l'appello di non disertare i seggi è stato un leitmotiv trasversale. L'ultimo della serie è stato di Giancarlo Cancellieri tramite un post su Facebook, pubblicato quando il silenzio elettorale era già in vigore e, pertanto, contestato dai rivali, Nello Musumeci in testa. L'impressione è che questo 'tutti contro tutti' non abbia realmente convinto i cittadini ad avere rinnovata fiducia nella politica.

Lo scrutinio posticipato

Altra stranezza di questa tornata elettorale è lo scrutinio che, curiosamente, inizierà alle 8 del 6 novembre quando le operazioni di voto saranno già chiuse da 10 ore (si vota dalle 8 alle 22 del 5 novembre, ndr).

Una modalità contestata da più parti, in particolare dal M5S e dalle liste a sostegno di Claudio Fava. "Le urne chiuse per l'intera notte di domenica - ha commentato l'esponente di Sinistra Italiana, Erasmo Palazzotto - così se qualcuno vuol far il furbo può avere più opportunità". Così tra polemiche, proclami e reciproche accuse, 4,5 milioni di siciliani si apprestano ad andare al voto e le maggiori forze politiche del Paese guardano con occhi languidi i palazzi del potere palermitano. Un interessante punto di partenza per i vincitori sarebbe quello di considerare la Sicilia qualcosa in più di un test elettorale nazionale o di un serbatoio di voti ed adoperarsi per risolvere una serie di problematiche che sono in agenda da oltre mezzo secolo.

Il dubbio è che se fossero risolte, anche in parte, non ci sarebbe più nulla di cui dibattere nelle future campagne elettorali: alla fine stiamo parlando della terra del Gattopardo. Ma è soltanto un dubbio, un parere che, in quanto tale, è criticabile. Peccato che cinque anni fa lo stesso dubbio abbia probabilmente sfiorato oltre la metà dei votanti siciliani che sono rimasti a casa nel giorno delle elezioni.