Il Tribunale civile di Firenze ha condannato in primo grado il Fatto Quotidiano, giornale diretto da Marco Travaglio, a risarcire Tiziano Renzi con la cifra di 95mila euro per averlo diffamato a mezzo stampa. A darne notizia è lo stesso quotidiano nel consueto editoriale del suo direttore. travaglio spiega che, anche se è sua intenzione fare ricorso in appello, per il momento quei soldi vanno sborsati. Il motivo? Qualche parola, considerata fuori posto dai giudici, scritta negli articoli che riguardavano i presunti affari illeciti del babbo di Matteo Renzi.

Travaglio lancia un appello per modificare finalmente la attuale legge che punisce in maniera draconiana i giornalisti giudicati colpevoli di diffamazione a mezzo stampa e avverte che, se le cose non cambieranno, l’esistenza di un giornale libero come il suo, ma anche di tutta la stampa non asservita a qualche potere forte, sarebbe messa in serio rischio.

Risarcimento spropositato

Marco Travaglio scrive di “spropositato risarcimento” facendo riferimento ai 95mila euro che il Tribunale civile di Firenze ha ordinato al Fatto Quotidiano di elargire a Tiziano Renzi come risarcimento della presunta diffamazione a mezzo stampa avvenuta alcuni anni fa. A suo modo di vedere si tratterebbe di un “precedente” che metterebbe a rischio l’esistenza stessa del suo giornale.

Comunque sia, fino alla sentenza di appello, quei soldi vanno sborsati, anche se Travaglio ha tutte le intenzioni di difendere la “onorabilità” della redazione messa in discussione da non meglio precisati “manigoldi” che coprono le loro “bugie da ergastolo” utilizzando “l’immunità parlamentare”.

Magistratura serva dei potenti ma nessun complotto

Travaglio si rivolge direttamente ai suoi lettori, visto che il giornale vive quasi esclusivamente dei soldi racimolati nelle edicole. Purtroppo, però, il continuo “bombardamento di cause civili e querele penali a strascico” rischia di diventare “insostenibile” e di mettere a rischio l’esistenza stessa del giornale anche perché, aggiunge il direttore, “buona parte della magistratura” attualmente sarebbe “genuflessa al potere politico”.

Comunque sia, Travaglio non crede all’ipotesi del “complotto” per mettere il bavaglio ad una voce libera.

La ricostruzione dei fatti che hanno portato alla condanna e il rischio chiusura

Tutto era cominciato nel biennio 2015-2016, quando Tiziano Renzi intentò una causa da 300mila euro contro il Fatto per alcuni articoli ritenuti diffamatori. Ebbene, il giudice competente ha ritenuto tutto legittimo, tranne un titolo (di un articolo peraltro veritiero) e due parole (due di numero ‘bancarotta’ e ‘affarucci’) scritte da Travaglio nei suoi editoriali. 30mila euro ad errore, per un totale di 90mila euro più 5mila di riparazione pecuniaria. Ma “io li riscriverei uguali altre cento volte”, chiosa Travaglio il quale, poi, aggiunge stizzito che quella cifra “spropositata” di 95mila euro è stata stabilità a causa della “posizione sociale del soggetto diffamato (padre del presidente del Consiglio, politico e imprenditore)”.

Fatto sta che basteranno “un altro paio di mazzate come queste” per costringere il giornale a chiudere i battenti. Per questo, conclude Travaglio, l’unica soluzione è quella di riformare la legge sulla diffamazione a mezzo stampa, altrimenti toccherà “cambiare mestiere”.