Ieri, mercoledì 12 dicembre, il primo ministro britannico Theresa May ha vissuto delle ore piuttosto intense: una corrente interna del Partito Conservatore del primo ministro britannico aveva infatti proposto il voto di sfiducia contro di lei.
Il motivo che ha spinto 48 deputati del suo stesso partito a presentare la richiesta del voto di sfiducia è la manifesta insoddisfazione nella gestione dalla Brexit.
Il voto finale dopo la “ribellione interna” dei Tory vede 200 contrari e 117 favorevoli.
Al primo ministro Inglese sarebbero stati sufficienti 159 voti per vedersi garantire la leadership del partito, dunque con i 200 voti a suo favore si può obiettivamente riconoscerle ora una forza sufficiente per poter proseguire la procedura relativa alla Brexit per cui era stata messa in discussione da parte di alcuni suoi colleghi di partito.
Una piccola nota di merito che va riconosciuta alla May è il fatto di aver ricevuto un voto in più rispetto ai 199 ottenuti nel 2016, quando ottenne la leadership del partito dopo le dimissioni di David Cameron.
Molto rumore per nulla?
La May dunque esce vincitrice dal voto di sfiducia presentato dai suoi 'compagni' di partito e rimane quindi al suo posto. La sua leadership - dopo 40 anni di fedele militanza nel partito - rimane e potrà dunque continuare a negoziare con l’Europa la fuoriuscita del paese d'Oltremanica.
Ma certo questo passaggio politico pone la stessa May di fronte alla necessità di fare un’analisi nella gestione che riguarda la Brexit, per giungere ad un accordo equo e capace per garantire stabilità rispetto agli scambi commerciali e finanziari tra Unione Europea e Gran Bretagna.
La soddisfazione della May
La May ha dichiarato di essere orgogliosa del suo partito, che ha definito come "moderato e pragmatico", affermando poche ore prima del voto che la sua uscita di scena avrebbe prodotto "il rischio di passare il controllo dei negoziati sulla Brexit all’opposizione".
Un cambio nel Partito Conservatore oggi avrebbe infatti prodotto serie conseguenze sulla prosecuzione delle trattative nella Brexit. Tale passaggio avrebbe, secondo la May, potuto ritardare (o addirittura fermare) il divorzio dall’Unione Europea, facendo venir meno la volontà popolare del risultato del referendum del 2016, viste anche le posizioni dell'opposizione del Labour Party, che considera la Brexit "una rivoluzione che divora i suoi figli". Un divorzio, quello dall’Unione Europea, che le opposizioni vorrebbero evitare fin dai tempi del referendum.