Gianlugi Paragone non ci sta a passare come per traditore del M5S. Il senatore pentastellato, dopo la sonora sconfitta subita dal Movimento nelle urne delle elezioni Europee, è stato uno dei primi a muovere critiche verso il leader Luigi Di Maio, chiedendogli un cambio di passo e anche un passo indietro da uno dei numerosi incarichi ricoperti. Da qui ad essere bollato come traditore, però, ce ne passa. Paragone, intervistato questa mattina da Serena Bortone ad Agorà, è furioso con il Corriere della Sera al quale ha rilasciato un’intervista il cui titolo, a suo parere, sarebbe stato completamente inventato.

‘Paragone: ha fatto male pure da Ministro, decida lui cosa lasciare’, così il quotidiano milanese ha interpretato, forzandole, le sue parole rivolte a Di Maio, facendolo passare, appunto, per un voltagabbana. E lui, per tutta risposta, mette sul piatto le sue dimissioni da senatore, rivendicando però con orgoglio la sua appartenenza al M5S.

L’intervista di Gianluigi Paragone ad Agorà: ‘Mi sembra che il Corriere voglia inzuppare il biscotto’

“Intanto oggi sul Corriere mi trovo con un’intervista il cui titolo ‘Paragone: ha fatto male pure da Ministro, decida lui cosa lasciare’, di fatto riprende una frase, me la sono letta 10 volte, che nell’intervista non c’è - precisa un infuriato Gianluigi Paragone di fronte a Serena Bortone, conduttrice di Agorà - dalle mie risposte non riesco a capire dove Di Maio avrebbe fatto male pure da Ministro.

Se faccio delle osservazioni vuol dire che magari il voto passa da 7 a 6,5 sul Mise perché gli ho detto, ma si sa, lo dico sempre, i nostri referenti e interlocutori devono essere più gli artigiani che Confindustria, più Confartigianato che non Confindustria, quello è il mio mondo di appartenenza ed è il mondo di riferimento imprenditoriale per il M5S.

Da qui a dire che Di Maio ha fatto male pure lì, mi sembra che il Corriere voglia inzuppare il biscotto. Mi attribuisce nel titolo una frase che non c’è nel pezzo, anche se poi nel sito hanno dato l’interpretazione giusta”.

‘Se Di Maio mi dicesse di restare resto, il vaffa ce l’abbiamo tatuato addosso’

“Se c’è un Ministro che ha fatto male è Tria, l’ho detto 1000 volte - prosegue poi Paragone nella sua autodifesa - Quindi se io porto in giro quello che di buono ha fatto Luigi al Ministero del Lavoro, come ho fatto con il Decreto Dignità Tour, non è che poi divento matto soltanto perché poi siamo arrivati al 17% e accoltello qualcuno.

Io faccio delle analisi critiche perché sono un giornalista. E infatti, dopo il titolo di oggi - ecco il punto fondamentale della sua intervista - siccome non voglio passare per traditore, consegnerò le dimissioni da parlamentare, sarà lui a decidere che cosa farne.

Non esiste l’opzione di andare altrove (in un altro partito ndr). Ma se Di Maio mi dicesse di restare resto, perché vuol dire che c’è ancora un rapporto di fiducia. Però io resto un rompiscatole.

Questo lo si sa, professionalmente lo sono stato”. Subito dopo, però, Gianluigi Paragone, ritira fuori dal cilindro tutto l’orgoglio pentastellato. “Siamo all’opposizione di un sistema - afferma - ecco perché non possiamo essere noi il sistema, il vaffa ce l’abbiamo ancora tatuato addosso. Se io ho un impianto che va a consumare i diritti dei lavoratori, io dico vaffa a quell’impianto e rimetto al centro parole come dignità e retribuzione, come lavoro che non equivale ad occupazione. Se uno vuole tradire i diritti dei lavoratori dei piccoli imprenditori, delle famiglie, io dico vaffa e ci sono ancora dentro questo vaffa. Se siamo costretti a vivere una vita a rate - conclude - perché i soldi non te li dà più la tua retribuzione ma te li deve dare una banca, non va bene”.