Domenica 17 novembre, tra le note salienti a livello politico, c'è stato il fatto che Nicola Zingaretti nella convention di Bologna del Pd abbia rilanciato, tra le priorità del Pd, il tema ius soli. Un dato che, in mezzo all'emergenza maltempo, non ha fatto fare i salti di gioia al Movimento Cinque Stelle. Qualcuno ha visto nell'azione una sorta di tentativo di battere i pugni sul tavolo del governo e la volontà di dettare l'agenda.

Paolo Mieli, ospite di Omnibus di La7, ha manifestato il suo punto di vista critico sulla vicenda, sollevando dubbi sul fatto che la scelta di certe parole possa essere strategica e sottolineando come il tema ius soli andrebbe centellinato da parte dei 'dem'. Il giornalista ha inoltre sottolineato come, a suo avviso, difficilmente una caduta del governo potrà condurre ad elezioni immediate.

Mieli parla della foga di Zingaretti

Paolo Mieli, nell'analizzare l'uscita del segretario del Partito Democratico, si è soffermato anche su dettagli che esulano dai contenuti meramente politici, ma che possono fornire indizi ad ampio raggio.

"Colpiva - ha evidenziato - il calore, il sudore, la foga che Zingaretti ha messo in questo discorso, che non gli è usuale, pur leggendo". "La foga e la lettura - ha sottolineato Mieli - in genere non vanno di pari passo". Le notazioni, secondo il giornalista suggeriscono una potenziale chiave di lettura. "Voleva - sottolinea - dare un segnale che questo era un intervento non di quelli che fa tutti i giorni, ma da segnare, per chi è un suo tifoso, sull'agenda come un data storica". L'uscita sullo ius soli apre, secondo Mieli, due scenari: "O si impegna davvero nella battaglia oppure se è una buffonata o una cosa buttata lì, si noterà".

Mieli parla di ius soli come ultima carta identitaria del Pd

Diversi critici ritengono che si sia potuto trattare di parole destinate a rappresentare una velata minaccia di elezioni immediate per gli alleati di governo . "Quello - ha affermato Mieli - è un bluff. Non ci può andare nessuno, le elezioni possono arrivare solo all'improvviso e per un caso". Questa considerazione nascerebbe, secondo il giornalista, dal fresco precedente storico: "Sono gli stessi soggetti che a luglio avevano detto che sarebbero andati alle elezioni alla crisi di governo. Sono le stesse persone: da Mattarella, senza mancargli di rispetto, a Zingaretti. C'è sempre un'emergenza e non ci si va".

E non manca la stoccata al Pd: "Non si usa la storia dei migranti per minacciare le elezioni anticipate.

Non lo dovrebbero fare loro. È l'unica carta identitaria che gli è rimasta e se la giocano alla pagliaccia quest'immagine gli pesa. Possono usare tutte le altre carte, ma non lo ius culturae con cui vanno a braccetto con cardinali, scrittori, cineasti, pittori, afflati mistici e poi viene usata per un discorso d'occasione".