L’attività fisica fa bene sempre. A prescindere da qualsiasi condizione e a qualunque età. Ma può capitare che un uomo, a cui viene diagnosticato un cancro alla prostata, possa avere delle remore a fare attività fisica. I risultati di questa ricerca possono essere utili a dare a tutti questi pazienti un motivo in più per muoversi.

Lo studio epidemiologico dell’American Cancer Society (ACS)

A partire dal 1992, all’interno di un programma di prevenzione dell’ACS, sono stati arruolati 10.067 pazienti, di età compresa tra 50 e 93 anni, a cui era stato diagnosticato un tumore alla prostata non-metastatizzato, e seguiti nel tempo.

In questo intervallo 600 uomini sono morti proprio a causa del cancro alla prostata.

La dottoressa Ying Wang, epidemiologa senior che ha seguito questo studio, in questi giorni ha presentato i risultati a New Orleans, all’annuale meeting dell’AACR (American Association Cancer Reserarch). “La novità di questi risultati”, dice Wang, “sta nella correlazione tra i rischi di mortalità legati al cancro alla prostata e attività fisica. Un’attività fisica tra il moderato e il vigoroso è associata ad una riduzione della mortalità mentre uno stile di vita sedentario è associato ad un aumentato rischio”. Questo riferito allo stile di vita precedente e successiva alla diagnosi.

E’ considerata attività fisica passeggiare, danzare, andare in bicicletta, fare jogging o correre, nuotare, giocare a tennis e altre attività di movimento fisico.

Mentre è attività sedentaria restare in poltrona a guardare la televisione o a leggere ma anche a guidare veicoli. E questo è stato calcolato sulla base di un indice MET (Metabolic Equivalent of Task), ovvero un rapporto tra l’energia utilizzata per il movimento e il metabolismo attivato, ovvero il consumo di ossigeno. Questo MET è stato indicato in ore per settimana.

E’ tutta una questione di movimento

Avere un MET di almeno 17.5 ore alla settimana, che corrisponde al doppio di una regolare attività fisica, in presenza di una diagnosi di tumore alla prostata, si ha il 30% di rischio di mortalità inferiore rispetto a coloro che invece hanno un MET inferiore a 3.5 ore a settimana, che corrisponde a meno di un’ora di moderata passeggiata.

I benefici aumentano lievemente se dopo la diagnosi si incrementa ulteriormente l’attività fisica.

L’American Cancer Society detta quindi le sue linee guida che corrispondono, per gli adulti, un’attività moderata di almeno 150 minuti oppure un’attività vigorosa per 75 minuti, ogni settimana. “Ovviamente”, aggiunge la Wang, “ulteriori studi saranno necessari per differenziare tra diversi gruppi, in base all’età, all’indice di massa corporea e a specifiche abitudini come il fumo di sigaretta”.

E visto che i soggetti analizzati limitavano prevalentemente la loro attività fisica alla passeggiata, i ricercatori hanno concluso che camminare per 4-6 ore alla settimana porta ad una riduzione del rischio di mortalità del 33%.

E se la passeggiata supera le 7 ore, il rischio si riduce del 37%. Questo prima della diagnosi. Non ci sono ancora dati sull’effetto della passeggiata dopo la diagnosi ma è del tutto prevedibile che più si cammina meno rischi si corrono.