Il glioblastoma è un tumore altamente vascolarizzato ma ancora con poche opzioni terapeutiche. Regorafenib è un farmaco che si somministra per via orale che agisce inibendo molte chinasi, proteine che controllano la formazione di nuovi vasi sanguigni e la crescita delle cellule tumorali. Un vasto studio italiano ha valutato l'efficacia e la sicurezza di questo farmaco nel trattamento del glioblastoma resistente.

Il farmaco

Regorafenib (Stivarga) è un farmaco che si somministra per via orale. Un inibitore non selettivo che agisce bloccando diverse chinasi coinvolte nell’angiogenesi tumorale, nell’oncogenesi, nella regolazione del microambiente tumorale e dell’immunità tumorale.

Il risultato è il blocco di una serie di reazioni chimiche che sono alla base della crescita e riproduzione delle cellule tumorali. Già approvato in Europa (EMA) e negli Stati Uniti (FDA), in monoterapia per il trattamento del tumore metastatico del colon, dei tumori stromali gastrointestinali e del carcinoma epatocellulare.

Lo studio

Con il nome Regoma, lo studio clinico di fase 2 è stato condotto in modo randomizzato, in 10 centri clinici italiani e coordinato dall’Istituto Oncologico Veneto (IOV). Nel periodo novembre 2015 – febbraio 2017 sono stati arruolati 119 pazienti dei 124 selezionati, pazienti maggiorenni con diagnosi di glioblastoma resistente ad un precedente intervento chirurgico seguito da radioterapia e chemioterapia con temozolomide.

I pazienti sono stati suddivisi casualmente in due gruppi, il primo (59 pazienti) trattato con 160 mg di regorafenib, preso una volta al giorno per le prime 3 settimane di ogni ciclo di 4 settimane. Il secondo gruppo (60 pazienti), trattato con 110 mg /m2 di lomustina, una volta ogni 6 settimane, un farmaco alchilante molto lipofilo, in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di raggiungere il cervello.

L’obiettivo primario dello studio era la sopravvivenza globale della popolazione trattata. Dopo 15,4 mesi di osservazione, il primo gruppo, trattato con regorafenib, aveva fatto registrare 42 decessi (71%) mentre nel secondo gruppo, trattato con lomustina, i decessi erano 57 (95%). Da questi numeri si evince chiaramente il vantaggio terapeutico osservato con l’inibitore di chinasi.

La sopravvivenza media è stata di 7,4 mesi con regorafenib rispetto al 5,6 mesi nel gruppo trattato con lomustina.

I risultati ottenuti dallo studio Regoma giustificano il successivo e ultimo stadio di sperimentazione clinica, la fase 3, prima di arrivare alla sua approvazione. Questo studio è stato pubblicato a dicembre sulla rivista scientifica The Lancet Oncology, primo autore Giuseppe Lombardi.

Il glioblastoma

Ogni anno ne sono colpiti circa 1.500 italiani, con un picco di incidenza compreso tra 50 e 65 anni. Il glioblastoma è un tumore cerebrale molto aggressivo che, nonostante i progressi della neurochirurgia e della neuro-oncologia, ancora oggi ha una sopravvivenza breve, mediamente solo 15 mesi dalla diagnosi.

Si origina da cellule staminali alterate che, invece di generare un tessuto normale, danno origine a un tumore cerebrale altamente maligno. A differenza di altri tumori, nel glioblastoma non è possibile effettuare una diagnosi precoce. Quando viene diagnosticato è già in uno stadio avanzato e diffuso in varie aree del cervello. Questo compromette le chance terapeutiche per una sua cura mentre la terapia chirurgica riesce solo a prolungare la sopravvivenza ma, purtroppo, raramente si giunge alla sua guarigione.

Nel glioblastoma il trattamento farmacologico standard prevede un intervento chirurgico per rimuovere il tumore. Poi si prosegue con chemio/radioterapia. Tuttavia tutti questi trattamenti non assicurano una sopravvivenza superiore ai 24 mesi.

In presenza di recidive non ci sono trattamenti ben definiti e normalmente si procede con lomustina. Ecco perché i risultati ottenuti con regorafenib, sebbene finora hanno assicurato solo un prolungamento della sopravvivenza media, sono considerati di grande interesse e giustificano un proseguo della sperimentazione clinica.