I primi dati epidemiologici sui pazienti guariti dalla Covid-19, a partire proprio dalla Cina dove questa pandemia è iniziata, confermano quello che era stato già osservato con studi di follow-up, sempre in Cina, dopo le polmoniti da Sars-CoV del 2002, e cioè che dopo la guarigione i pazienti possono essere ancora affetti da problemi respiratori, che permangono da sei mesi ad un anno. E, in certi casi, il recupero potrebbe non essere definitivo. Questo a causa dell’insorgenza di fibrosi polmonare che modifica l’efficienza respiratoria. Ma ci potrebbero essere anche problemi psichiatrici, soprattutto in chi è uscito da una terapia intensiva.

Polmoniti con 'strascico'

Sars-CoV-2 sembra avere in comune con Sars-CoV, l’altro Coronavirus responsabile dell’epidemia del 2002-2003, il fatto di causare delle infezioni polmonari “con strascico”. Si tratta di infezioni che non si risolvono definitivamente con la guarigione dall'infezione ma che si tirano dietro, proprio come uno “strascico”, le conseguenze di un’alterata efficienza respiratoria polmonare.

Le cause sono da ricercare nelle alterazioni permanenti causate dal nuovo Coronavirus sul tessuto polmonare con segni diffusi di fibrosi. I polmoni dei pazienti Covid-19 vedono modificarsi delle caratteristiche proprie della loro struttura normale, dove parti di tessuto normale vengono sostituiti da tessuto cicatriziale, non più funzionale.

Modifiche ben visibili ad una indagine radiologica toracica, monitorabili anche con test di funzionalità respiratoria (minor capacità respiratoria, minor volume polmonare, scarsa forza dei muscoli respiratori e, soprattutto, minor resistenza allo sforzo). Questi pazienti possono avere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata.

A volte richiedono un intervento di ossigenoterapia domiciliare.

Visto i numeri dei pazienti sopravvissuti, ad oggi circa 200 mila sui 231 mila complessivi (dati ISS), la fibrosi polmonare potrebbe presto divenire la nuova emergenza sanitaria che il sistema sanitario italiano, ma anche mondiale, sarà chiamato a gestire. Si parla già di trattamenti con cellule staminali mesenchimali.

Da precisare comunque che ad essere interessati saranno in misura maggiore solo i pazienti che sono usciti dalla terapia intensiva e sono stati intubati. Ma comunque, come ha dichiarato sulle pagine de Il Corriere Michele Vitecca, responsabile della Pneumologia Riabilitativa ICS Maugeri di Brescia e vicepresidente AIPO (Associazione italiana pneumologi ospedalieri), nei prossimi mesi il lavoro degli pneumologi sarà molto impegnativo perché dovranno gestire un numero elevato di pazienti con danno polmonare, ed impostare dei cicli di riabilitazione e di monitoraggio clinico.

Sebbene la Covid-19 causi maggiori conseguenze nella popolazione anziana (l'87% dei deceduti aveva più di 70 anni), l’età media delle persone che si sono infettate è di 62 anni.

Sono stati infettati anche molti giovani e, in alcuni casi anche bambini. Le conseguenze sui polmoni possono interessare anche questi pazienti. Nei giovani infatti l’incidenza dell’insorgenza di una fibrosi post-Covid-19 varia dal 30 al 75% dei casi valutati, come ha dichiarato Angelo Corsico, direttore della Pneumologia della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo.

Non solo perdita di gusto e olfatto

Un altro “strascico” delle infezioni da coronavirus è la perdita di gusto (ageusia) e olfatto (anosmia). Alterazioni che normalmente vengono recuperate dopo qualche settimana-mese. Ma, per i guariti dalla Covid-19, i problemi non finiscono qui. Una recente meta-analisi, pubblicata su The Lancet Psychiatry, primo autore J.P.

Rogers, è andata ad analizzare i lavori pubblicati sulle conseguenze cliniche di natura psichiatrica, conseguenti la Sars-CoV del 2002 e la Mers-CoV del 2012. I pazienti coinvolti in queste infezioni, che finiscono in terapia intensiva, hanno un maggior rischio di delirio, agitazione e confusione. Non ci sono ancora dati a sufficienza per trarre delle conclusioni anche sull'attuale pandemia ma, da questo punto di vista, alcuni elementi ci sono.

La maggior parte dei pazienti Covid-19, quelli che hanno avuto solo sintomi lievi, non avranno problemi di Salute mentale. Problemi che invece possono divenire comuni nei pazienti che sono stati ospedalizzati. Infatti, i ricercatori dello studio pubblicato su Lancet Psichiatry, hanno revisionato 70 studi sul tema, che avevano coinvolti complessivamente 3500 pazienti colpiti dal Sars-CoV-2, e li hanno confrontati con i dati storici sui pazienti colpiti dai virus della Sars e della Mers.

Questa analisi non ha escluso che anche i pazienti Covid-19 siano a rischio di sintomi d’ansia, cali di memoria, sintomi depressivi, e anche da stress post-traumatico, a breve e lungo termine. Tuttavia, è troppo presto per trarre delle conclusioni sull'attuale pandemia. Diversi studi sono già attivi per monitorare anche queste problematiche.