Giorgio Squinzi, imprenditore, ex presidente di Confindustria e patron della storica squadra Mapei, è uscito dal ciclismo da tanti anni ma continua a seguire le corse con la stessa passione e lo stesso interesse. L’avventura della Mapei nel ciclismo professionistico si concluse al termine della stagione 2002, segnata dall’esclusione di Stefano Garzelli al Giro d’Italia per un controverso caso di Doping. Proprio quell’episodio portò Squinzi alla decisione di uscire dal ciclismo, ed ora l’industriale lombardo ha voluto paragonare la situazione vissuta in quel Giro con il caso Froome, sottolineando il diverso comportamento tenuto dalla Mapei.
Squinzi: ‘Le cose devono essere bianche o nere’
La squadra Mapei ha segnato un’epoca nel mondo del ciclismo. Nata nel 1993, ha vinto centinaia e centinaia di corse, dal Giro d’Italia alla Vuelta Espana passando per tutte le classiche del nord. Oltre che per le vittorie però la Mapei è ricordata per il grande impulso innovativo portato dal suo patron Giorgio Squinzi. La squadra si era data un’organizzazione di altissimo livello, con un centro di ricerca scientifica diretto dal compianto professor Aldo Sassi che è ancora un punto di riferimento nella preparazione atletica, e con delle squadre giovanili in cui sono cresciuti talenti come Cancellara e Pozzato.
Nel 2002 poi Squinzi decise di uscire dal ciclismo, dopo il caso di doping che portò all’esclusione di Stefano Garzelli dal Giro d’Italia.
Garzelli, capitano della Mapei e già vincitore di due tappe nella prima settimana, risultò positivo ad un diuretico, il probenecid. Il corridore aveva proclamato la sua innocenza, motivando il risultato del controllo con una contaminazione alimentare. Garzelli fu però squalificato per 11 mesi per responsabilità oggettiva, con una sentenza che avvalorava la tesi dell’assunzione in buona fede. L’avventura della Mapei finì lì, dopo un decennio di vittorie.
Da allora Squinzi ha seguito il ciclismo da appassionato, e dalle pagine di Tuttobiciweb ha paragonato il comportamento della sua squadra ai tempi del caso Garzelli a quello che è successo con il Team Sky e il caso Froome. La squadra britannica ha deciso di far correre il suo capitano nonostante il procedimento in corso per la positività al salbutamolo, una decisione che Squinzi non ha condiviso.
“Se fosse stato un nostro corridore Froome non avrebbe neanche cominciato la stagione” ha dichiarato l’imprenditore. “Lo avremmo fermato da settembre, quando la squadra ha saputo della positività. Quello che non trovo giusto sono i due pesi e le due misure, spero che questo non sia dato dal peso della Sky” ha aggiunto Squinzi, che si è esposto in maniera molto critica anche con le regole. “Il regolamento è farraginoso e poco chiaro, ci sono troppe zone grigie che il ciclismo e lo sport in genere non possono permettersi. Le cose devono essere bianche o nere. C’è un limite di 1.000 nanogrammi e Froome è stato trovato a 2.000: a noi poco importa. È fuori” ha concluso Squinzi.