Anche se non è in lotta per vincere, uno dei corridori sotto i riflettori in questa Vuelta Espana che sta arrivando a metà del suo cammino è Fabio Aru. Alla vigilia della partenza, dopo stagioni tormentate e speranze disattese, lo scalatore della Qhubeka Assos ha annunciato il suo addio al Ciclismo. L’atto finale della Vuelta, il 5 settembre a Santiago de Compostela, sarà anche l’ultima giornata da ciclista professionista di Aru, che proprio nella corsa spagnola ha vissuto alcuni dei momenti più alti della sua carriera.

Fabio Aru: ‘È la scelta giusta’

La vicenda di Fabio Aru è ormai ben conosciuta dagli appassionati di ciclismo. Dopo una prima parte di carriera scintillante, con il successo alla Vuelta Espana 2015, i due podi al Giro d’Italia, il quinto posto al Tour 2017 e il titolo di Campione d’Italia, lo scalatore sardo ha vissuto un declino dai tratti misteriosi, tra problemi di salute, cadute e crolli psicologici. Il triennio alla UAE Emirates, iniziato con ambizioni sfrenate, si è risolto in modo fallimentare, e per cercare di risollevarsi Aru ha trovato fiducia alla Qhubekha NextHash.

Dopo una prima parte di stagione molto complicata e la rinuncia al Tour de France, l’ex tricolore ha ritrovato un po’ di competitività tra luglio e agosto, concludendo la Vuelta Burgos al secondo posto.

Nonostante questa parziale risalita, alla vigilia della Vuelta Espana il corridore ha annunciato il suo ritiro dal ciclismo al termine della corsa a tappe iberica. I discreti risultati che sta ottenendo alla Vuelta non hanno cambiato il proposito di Aru: “Ogni giorno penso sempre di più che questa sia stata la scelta giusta” ha confidato il corridore sardo a Cyclingnews.

Aru ha respinto l’idea che circola nel mondo del ciclismo, quella di un corridore schiacciato dalle pressioni che ora, una volta annunciato l’addio, sta tornando a correre più serenamente e ad ottenere risultati migliori. “Non la vedo come una liberazione, la vedo solo come la fine di un capitolo. Ovviamente questa è stata la mia vita per quindici anni e la bicicletta, in un modo o nell’altro, resterà una parte della mia vita, perché è stata la mia grande passione.

Verrò a vedere qualche corsa, ma è il momento di dedicare più tempo alla famiglia, di stare a casa. Sono troppo professionale per accettare di fare questo sport solo al 90%, o lo faccio al 200% o niente” ha dichiarato Aru.

‘Chi mi era vicino quando ero al culmine mi ha attaccato appena ho avuto dei problemi’

Fabio Aru è tornato anche a parlare di quanto gli è accaduto dal 2018 in poi, dal suo arrivo in UAE Emirates con ambizioni sfrenate che si è poi trasformato in un disastro senza fine. Il corridore sardo ha rivelato di essere stato toccato dagli attacchi ricevuti da alcune persone: “Onestamente, si, le critiche mi hanno ferito. Le critiche dall’esterno non mi hanno toccato, ma alcune persone che mi erano vicine quando ero al culmine mi hanno attaccato appena ho avuto dei problemi.

Questo mi ha fatto capire chi mi era veramente vicino e chi no” ha dichiarato Aru.

Il vincitore della Vuelta 2015 ha fatto anche un’interessante analisi su alcuni cambiamenti che hanno segnato il ciclismo in questi ultimi anni, denunciando la ricerca maniacale del perfezionismo in ogni ambito, a partire dall’alimentazione. “L’attenzione all’alimentazione è interessante, ma a volte è eccessiva. Quando si parla di cose come pesare il cibo e prestare la massima attenzione a tutto, allora diventa troppo. In un certo senso rovina quello che è semplicemente il ciclismo: salire in bici e spingere forte sui pedali. C’è troppo controllo e questo pesa molto” ha commentato Aru, ammettendo però che “non è possibile tornare indietro perché ogni sport ha raggiunto un grande livello di professionalità e attenzione ai dettagli”.