Imu e Tasi sono le imposte che gravano sui proprietari di immobili situati su tutto il territorio nazionale. Si tratta di due delle imposte più odiate dagli italiani che vanno a gravare sulle proprietà immobiliari dei cittadini. Entrambe le misure non sono dovute sulla prima casa, cioè sull’abitazione principale del proprietario dell’immobile. L’esenzione, stabilita dalla attuale normativa vigente è stata oggetto di una recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione. Si tratta dell’ordinanza 6634 del 7 marzo scorso con la quale vengono fugati dubbi interpretativi riguardo l’esenzione dal pagamento di queste Tasse sulla prima casa.

Dagli ermellini esce fuori che non basta trasferire la residenza in un immobile per rientrare nell’esenzione.

Residenza e dimora necessariamente insieme

Per evitare il pagamento di Tasi o Imu sulla prima casa il solo trasferimento della propria residenza nell’immobile non basta. Per fruire di questa agevolazione sul pagamento di queste tasse è necessario rispettare altri vincoli e paletti ben precisi. Anche la Cassazione con la pronuncia di cui accennavamo in premessa, ha ribadito questo concetto. Nulla di nuovo perché quanto sancito dalla Cassazione resta un principio che anche la normativa ha ben chiaro, ma che spesso è oggetto di errata interpretazione da parte dei contribuenti chiamati alla cassa o di una semplice furberia.

Sovente i contribuenti credono che intestare la seconda casa al coniuge serva a non pagare l’Imu perché la casa in questione diventerebbe la prima casa del coniuge. Questo però è un credo errato perché la legge non lo prevede. In definitiva, spostare la propria residenza presso un proprio immobile può non bastare se non si vada a trasferire nello stesso immobile la dimora di tutta la propria famiglia.

Quando scatta l’esenzione

La residenza non può essere scelta liberamente dai contribuenti ma deve per forza coincidere con il luogo di abituale dimora propria e della propria famiglia. Illegale la pratica molto frequente di essere coniugi a tutti gli effetti, di risiedere e dimorare sotto lo stesso tetto, ma avere all’anagrafe registrate le residenze in due diverse case per dribblare la pressione fiscale.

Oltre che di evasione fiscale, un comportamento del genere può cagionare per chi lo commette, il reato di falso in atto pubblico. Ne consegue che le tasse non sono dovute solo per la vera abitazione principale, che è quella dove effettivamente si vive con la propria famiglia. La recente sentenza interviene proprio a chiarire questo aspetto, essendo riferita ad un ricorso di un contribuente che vedendosi recapitare un accertamento Imu aveva interpellato la Corte perché era residente in una casa sita vicino al suo luogo di lavoro. I giudici hanno rigettato il ricorso perché dagli atti si era rilevato che la famiglia del ricorrente, cioè coniuge e figli vivevano altrove.