Il termine "Solitudine", dal latino "solitudo-inis", non indica esclusivamente uno status momentaneo relativo alla mancanza di compagnia. Esso è più volte concepito dall'uomo sia come una condizione esistenziale involontaria, sia come una scelta di vita. A tal proposito, la lingua inglese si è dimostrata molto più precisa e semanticamente netta nell'utilizzo dei termini: "solitude" significa "solitudine come scelta di vita", come situazione frutto di una decisione personale, mentre "loneliness" ha un'accezione negativa che indica una condizione che non è la conseguenza di una decisione personale.

Quest'ultima è la condizione maggiormente esorcizzata, conosciuta e discussa dall'uomo.

Eppure restare in solitaria è spesso motivo di felicità, di introspezione, riflessione e creatività. Dunque esiste un'enorme differenza fra lo "stare da soli" e "sentirsi soli".

Quali sono le motivazioni che spingono l'essere umano a temere la solitudine?

Il celebre scrittore Giacomo Leopardi affermava che "la solitudine è come una lente d’ingrandimento: se sei solo e stai bene, stai benissimo, se sei solo e stai male, stai malissimo". Secondo lo psicanalista e sociologo Erich Fromm, invece, è una condizione che provoca ansia nell'essere umano, dettata dall'impossibilità di condivisione delle gioie e dei dolori quotidiani.

A ciò può anche aggiungersi la discriminazione sociale, ove una persona poco socievole è etichettata come "strana", "sfigata" ed evitabile secondo l'ideologia dominante dei gruppi sociali di appartenenza. Non è un caso se Durkheim ha parlato del suicidio come conseguenza di una mancanza di integrazione dell'individuo in un particolare tessuto sociale.

In fondo, senza per forza estremizzare le conseguenze negative della solitudine, ciascun essere umano prova, almeno una volta nella vita, questo senso di smarrimento individuale, sia dinanzi a se stesso, sia dinanzi agli altri. Ciò che può esservi di vero in ciascuna di queste teorie è l'ineludibile monologo della ragione, la quale prosegue il proprio corso come un fiume in piena, pronto ad abbattere (o a lasciare intatti) gli argini della tranquillità spirituale e della sicurezza psicologica.

Nel buio notturno della propria camera da letto, nel panorama seducente di una pineta di fronte al mare o nel bel mezzo di una folla indifferente, l'uomo si troverà sempre di fronte ad uno status: la ragione come unica vera compagna, la ragione come tribunale d'inquisizione delle proprie maschere e della propria identità. L'elemento angosciante per la psiche umana è la rivelazione del proprio Ego, dei propri limiti intellettuali e fisici, di quelle sfumature del sé che non è possibile rivelare alla comunità, le sfaccettature caratteriali più scomode e meno accettabili per gli altri, ma soprattutto per se stessi.

La solitudine è anche un momento di riflessione sul proprio status: ci si può percepire "soli" poiché coscienti nel medesimo momento della propria situazione; il tutto è rassomigliante ad un calderone bollente dell'essenza individuale, ricolmo di ingredienti succulenti e disgustosi.

Quante tipologie di solitudine è possibile individuare?

A tal proposito, si può rintracciare la visione del filosofo rumeno ed esistenzialista Emil Cioran, secondo il quale esistono due modi di percepire la solitudine: sentirsi soli al mondo e avvertire la solitudine del mondo. Nel primo caso, il sentimento è quello dell'abbandono, ed interessa esclusivamente la propria inquietudine. Ci si può sentire smarriti, incompleti, turbati dalle proprie contraddizioni e finitezze, da problemi interiori che nulla hanno a che vedere con il mondo esterno, cui secondo il filosofo restiamo indifferenti. "Avvertire la solitudine del mondo" significa, al contrario, percepirne il non-senso, la solitudine cosmica che permea il nulla esteriore del mondo o di una società in tramonto.

In questo ragionamento vi è, probabilmente, una vena nichilista di fondo.

Quanto al "numero" di solitudini, sicuramente il dualismo enunciato da Cioran ben riassume l'infinita quantità di stati d'animo che si avvicinano alla solitudine ma che, di fatto, è impossibile definire e classificare. L'animo resta pur sempre un puzzle di infinite impressioni.

Quali riferimenti filosofici e letterari possono rimandare ad una "pars construens" della solitudine?

È possibile rilevare dei riferimenti, se si tiene conto dell'importanza del fattore emotivo nella stimolazione della creatività artistica. Le manifestazioni letterarie consolano, incanalano le più profonde necessità di senso esistenziale. Il romanticismo europeo, attraverso la penna di scrittori quali Goethe e Mary Shelley, ha letteralmente infuso di "solitudine" i propri capolavori.

Il primo, nel romanzo "I dolori del giovane Werther", descrive i sentimenti di abbandono di un giovane uomo tormentato dall'impossibilità di conquistare l'amata Charlotte promessa ad un altro uomo, isolato e schiacciato dalle convenzioni della società borghese dell’epoca.

Un altro esempio è proprio "Frankenstein", in cui la scrittrice Shelley ha riversato un'infinità di temi, fra i quali la solitudine. Lo scienziato ginevrino Frankenstein, ossessionato dal progresso scientifico, decide di dar vita ad una creatura mostruosa e antropomorfa, la quale si ribella al proprio creatore seminando morte e distruzione, come vendetta per la negligenza "paterna". Il mostro, per certi versi "umano", ha il desiderio di porre fine alla propria condizione solitaria, chiedendo all'uomo di scienza di creargli una compagna.

Quest'ultimo rifiuta, provocando angoscia esistenziale nel mostro. Qui il tema del "doppio" gioca un ruolo fondamentale e si intreccia con la solitudine. La creazione della vita da parte di Frankenstein sarebbe una manifestazione celata, latente e rovesciata del suo impulso di distruzione. In sintesi, il mostro ne costituirebbe un alter-Ego. Frankenstein e la sua creatura rivelano una doppia solitudine: nel primo caso, si tratta di un abbandono collettivo dinanzi al delirio d'onnipotenza scientifico; nel secondo una mancanza di integrazione dell'individuo, un non-riconoscimento della collettività verso un canone estetico e comportamentale considerato inaccettabile.

Tuttavia, questo lato "costruttivo" della solitudine non si limita alla sola letteratura.

Nel corso della storia, l'uomo ha scelto fermamente di intraprendere percorsi ascetici e spirituali fondati sull'isolamento. Nella Grecia antica, il filosofo Diogene detto "il Cinico" condusse uno stile di vita austero e in quasi totale isolamento, praticando le virtù dell’autocontrollo e dell'auto-sufficienza vivendo in una botte.

Nel mondo cristiano alto-medievale, numerosi eremiti orientali si dedicarono a pratiche estreme d'isolamento, al fine di raggiungere uno stato di ascesi completa (fra essi gli stiliti, che erano soliti trascorrere la propria esistenza sulla sommità di una colonna, e gli stazionari, la cui auto-imposizione consistette nel vivere sempre in piedi). Un altro celebre esempio è il Gautama Buddha, che per raggiungere l'illuminazione spirituale praticò innumerevoli volte il cammino della solitudine.

Per quanto concerne i tempi odierni, se per certi versi la società moderna può incrementare la sensazione di solitudine umana, dall'altro l'egemone filosofia individualista spesso scoraggia la vita comunitaria, incoraggia l'autosufficienza e l'indipendenza psicologica ed emotiva di ciascuno. Dunque "essere soli", talvolta, è un dato considerato quasi più ordinario della vita sociale. Il singolo individuo in alcuni casi è esaltato nella propria condizione di solitudine, specie in ambito emotivo, con la leggerezza di essere "single". La retorica "main-stream" coniuga libertà e solitudine come binomio "figo" e nello stesso tempo inscindibile. Secondo questa visione, il cittadino "cosmopolita" non è solo in quanto parte di un unico mondo, dove l'interazione virtuale (arma a doppio taglio) può compensare parzialmente la solitudine fisica, ma nello stesso tempo aumentarla.

Dove non vi sono presenze, si fanno spazio le connessioni.

E se questo meccanismo non fosse altro che un'illusione, una trovata filosofica per sentirsi, per l'appunto, meno soli? Lasciamo a voi lettori la possibilità di trarre le vostre conclusioni.