Insultati, precari, gentili, a volte con una laurea nel cassetto. Questo è il ritratto medio del lavoratore di call center, la vocina al di là del telefono che quotidianamente chiama le nostre case per proporre un prodotto, raccogliere dati, offrire un servizio che non compreremo mai. Come tutti quelli che hanno bisogno di lavorare per mantenersi, soprattutto se giovani e quindi in fase di gavetta, sono ragazzi che pur di lavorare accettano di tutto, compreso stare per ore attaccati a una sedia e lasciarsi scivolare addosso insulti di ogni genere da clienti scarsamente interessati pur di raggiungere un certo quantitativo di chiamate, di appuntamenti o di contratti.
L'età media, in genere, è bassa. Per lo più sono ragazzi di diciotto - vent'anni alle prime esperienze lavorative. Tuttavia, in mezzo a questi si trovano molti laureati in attesa di migliore collocazione che mettono da parte il loro titolo pur di pagare le bollette. Accanto a questi, in numero molto minore, troviamo anche gli esodati: uomini e donne sulla cinquantina, a volte con alle spalle un'esperienza da professionisti affermati.
Una prova del fuoco, quella del lavoratore di call center, che comincia dal colloquio. Sia esso in agenzia interinale o direttamente in azienda, è sempre uguale: contratti part time dalle tre alle quattro ore, da sei se full time.
Paga dai cinque ai sette euro orari, naturalmente in cococo (quindi con trattenute superiori al 30% senza il regime fiscale agevolato dei lavoratori dipendenti). Una sola cosa è certa: il call center non è parte di Telecom, di Vodafone, di Olio Carli o di qualsiasi altra azienda nota al cliente. Si tratta di una PMI che ha vinto l'appalto per i servizi di assistenza o di vendita telefonica. Insomma, una paga al lordo neanche bassa, accettabile per una persona alla prima esperienza o che ha bisogno di soldi.
Vuoi per la fama dell'operatore telefonico come rompiscatole, vuoi perché di vendite telefoniche proprio i clienti non ne vogliono sentir parlare, nessuno ha un tono gentile nel rispondere.
Generalmente, la voce cambia appena la persona chiamata capisce di avere a che fare con un call center. Se poi è lui a chiamare, magari perché ha bisogno di assistenza su un prodotto, diventa ancor meno gentile. Il problema è proprio questo. Il passare dal tono scocciato all'insulto è cosa breve. E il non rispondere all'insulto, a volte, è quasi impossibile ma necessario. Quel silenzio strano, insomma, che si sente al di là della cornetta quando ci si sfoga con la compagnia telefonica. Il silenzio di chi non può fare nulla, lo sa e incassa al posto di un altro.
Una miscela pericolosa, insomma, non solo dal punto di vista fisico. Accanto all'usura della voce, della vista (per il fatto di lavorare sul videoterminale) e dell'udito, si trovano fenomeni legati a uno stress quanto mai subdolo.
Un lento logorare dell'autostima, che aumenta di giorno in giorno per le risposte negative del cliente. C'è chi sbotta prima, chi sbotta dopo. Chi si riempie di brufoli, chi si sfoga mangiando biscotti al cioccolato. Chi si consola sperando in un futuro migliore. Solo di una cosa, l'operatore di call center è sicuro. Ogni mattina comincia una nuova giornata, identica alla precedente con un unico scopo, quello da cui dipende la sua vita lavorativa e la possibilità di mettere il pane in tavola con questa: concludere un qualsivoglia contratto, nell'attesa che qualcosa nel mondo del lavoro cambi.