Le polemiche quotidiane sulla casta e sulla sua insaziabile avidità di denaro pubblico, in un momento come quello che stiamo vivendo non possono risparmiare il Parlamento e tutte le più alte cariche dello Stato. Per i politici in generale, ed i parlamentari in particolare, uno degli aspetti più controversi (dopo la corruzione) è costituito, senza dubbio, dalle elevate retribuzioni, dai tanti tipi di rimborso e agevolazioni e dalle prestazioni che vengono ancora loro garantite alla fine dei mandati (pensioni e vitalizi vari). Eppure, un punto di partenza per qualche ragionamento, con tutte le precisazioni opportune, potrebbe addirittura ancora essere lo Statuto Albertino (che all'art.

50 escludeva per senatori e deputati "alcuna retribuzione o indennità").

Chiariamoci: allora esistevano forti limitazioni alla partecipazione popolare all'elettorato attivo e passivo, però, a quei tempi, ricoprire funzioni al servizio del paese era considerato un onore, un privilegio (sentimenti che, quindi, escludevano remunerazioni) non un lavoro, come attestano i tanti che della politica hanno fatto la loro professione. Non ci sono dubbi sul fatto che, oggi, garantire l'indipendenza economica del rappresentante del popolo sia uno dei pilastri della nostra democrazia: ma siamo certi che non sia opportuno ripensare ad alcune scelte passate (foss'anche solo per recuperare parte della perduta etica sociale)?

Che senso ha erogare anche solo 1 euro di danaro pubblico a chi, nello stesso tempo in cui svolge il suo mandato di rappresentante del popolo, presenta dichiarazioni dei redditi personali caratterizzate da cifre con tanti zeri? Che sentimento può trasmettere al popolo il sentir parlare di tetti alle pensioni ed alle retribuzioni dei lavoratori, se a dirlo, oltre a Renzi ed al suo Governo, sono anche imprenditori padroni di multinazionali, principi del foro, luminari della scienza e così via dicendo?

Cosa fare, allora? Con tutta la pletora di leggi, normative ed autonomie operative (compresa la tanto e sempre più spesso sbandierata autodichia di taluni organi costituzionali) non si saprebbe a chi indirizzarla, ma comunque qui troverete una proposta di legge composta da un solo articolo: "A tutti i componenti di organi elettivi (di prima istanza o meno), fatti salvi i rimborsi di spese documentate e riconosciute relative all'esecuzione del mandato ricevuto, lo Stato e le sue emanazioni territoriali possono riconoscere retribuzioni (stipendi, indennità, pensioni, vitalizi ecc.) che, cumulati ai redditi personali di qualunque altra natura, non consentano di superare l'importo netto annuo di euro 180.000, calcolato con le stesse modalità con cui si valutano i redditi di tutti i cittadini.

Eventuali eccedenze riconosciute in corso d'anno, dovranno essere rimborsate dall'eletto (fino a totale concorrenza dell'erogato) con la dichiarazione dei redditi dell'anno successivo."

Forse non si recupererebbero tanti soldi ma, sicuramente, si recupererebbe dignità al ruolo di rappresentante del popolo: e sarebbe interessante sentire qualcuno dichiarare che 180.000 euro netti non assicurano un livello di vita adeguato....