Ma davvero la legge di stabilità presentata da Matteo Renzi si può definire espansiva e quindi utile a far ripartire un'economia ormai in cronica recessione? Nonostante la grancassa mediatica favorevole al premier, stavolta sembra che a crederlo - almeno tra gli esperti - siano rimasti in ben pochi. Vediamo perché. Renzi ha detto che la manovra comporterà minori tasse per 18 miliardi di euro. Una cifra enorme, se si pensa che qualche anno fa fu un problema gigantesco trovarne appena 4, di miliardi, per finanziare l'abolizione dell'Imu sulla prima casa.

E com'è che adesso, con una recessione che invece di alleviarsi si è drammaticamente aggravata (e con lo spread che, come si sta vedendo in queste ore, è sempre pronto a ripartire), il governo pensa di recuperarne addirittura 18? Una buona parte delle coperture, dice Renzi, arriverà dall'aumento del rapporto deficit/Pil dal 2,2% previsto al 2,9%, per un totale di 11 miliardi. Ora, a parte il fatto che quasi certamente questa misura sarà bocciata dalla Ue (la quale ammette sì che tale rapporto arrivi fino al 3%, ma vuole che l'Italia spenda a deficit il meno possibile, considerando quanto debito pubblico essa ha), non occorre essere grandi esperti di macroeconomia per comprendere che si tratta di una previsione molto rischiosa.

Le stime del Pil del governo sono infatti da anni e anni troppo generose ed è molto probabile che tali siano anche le ultime. Quindi una maggiore spesa di due miliardi quasi certamente significherà il passaggio del rapporto deficit/Pil dal 2,2% non al 2,9% ma oltre il limite del 3%. Chi può seriamente pensare che la Ue possa accettare una simile misura?

Ma andiamo avanti. Renzi sostiene anche che si recuperanno 15 miliardi dalla "spending review". Come, non è dato sapere. Intanto prendiamo atto che Regioni ed enti locali, che da anni subiscono tagli, con il risultato che per esempio non ci sono soldi per arginare il dissesto idrogeologico, con i risultati che tutti vediamo in questi giorni, si sono già espresse in modo totalmente negativo.

Ma soprattutto c'è da notare che nessuna spending review fatta - come in questo caso - in fretta e furia, con tagli lineari e non con un lungo lavoro di analisi delle aree di spreco e di inefficienza, può produrre risparmi consistenti e duraturi. Certo è invece che questo genere di operazioni si risolva in aumento delle tasse e tagli ai servizi, compresi quelli essenziali (sanità).

I maggiori introiti per 3,9 miliardi dalla lotta all'evasione fiscale sono come sempre solo pii desideri, e dubitiamo che Bruxelles non contesterà questo numero totalmente ipotetico. E potremmo continuare, analizzando altre voci di "coperture" e "maggiori rendite" che il governo ha messo nero su bianco ma che rischiano di essere respinte da Bruxelles oppure di essere ineficcaci o dannose.

Non dubitiamo che Matteo Renzi voglia far ripartire l'economia italiana, ammesso e non concesso che la strada maestra per farlo sia quella dei liberisti che tanto piace al premier (esponente, non dimentichiamolo, di un partito che pure si definisce di centro-sinistra): liberalizzazione estrema del mercato del lavoro e restrizione del welfare a tutto vantaggio del settore privato. Il punto è che, dentro i vincoli europei, neppure questo si può fare. Non solo per fare politiche di sinistra (che Renzi e buona parte del Pd da anni non si sognano neppure di perseguire) ma persino per realizzare un programma alla Reagan, oggi l'austerity europea rappresenta un ostacolo insormontabile. O Renzi, e con lui i premier degli altri Paesi dell'eurozona, sapranno opporsi alle politiche tedesche che per anni hanno omaggiato, o continueremo a registrare Leggi di Stabilità contradditorie, inconsistenti e peggiorative come questa. Fino a che Renzi, l'Eurozona e soprattutto quel che rimane del nostro benessere salteranno in aria.