È stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo che prevede dal 1° gennaio 2018 la possibilità per 400mila famiglie italiane sotto la soglia di povertà - pari circa a 1,8 milioni di persone - di fare domanda per il cosiddetto reddito di inclusione (Rei), sussidio che prenderà il posto (né più né meno) del sostegno all'inclusione attiva (Sia): lo stanziamento previsto per l'attuazione del decreto ammonta a 1,8 miliardi di euro l'anno, erogabili ai richiedenti in forma di beneficio economico compreso tra i 190 e i 485 euro mensili per un massimo di 18 mesi - con possibilità di rinnovare la richiesta a distanza di sei.
Lo scotto di essere 'inclusivi' si pagherà in Europa
Fin da subito tweet di polemiche si sono levati dalle opposizioni: dal ministro della giustizia Andrea Orlando al capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta, ai deputati M5S Danilo Toninelli, Nunzia Catalfo e Laura Castelli, le critiche hanno preso le mosse dal sospetto che la manovra avanzata con il provvedimento dalla maggioranza filo-renziana al governo abbia mire a rinfoltire l'elettorato a fronte dell'imminente scadenza della legislatura. Senza mancare di constatare una certa 'sterilità. del decreto, avvertita soprattutto tra le file dei pentastellati firmatari, dal canto loro, del più ambizioso ddl sul reddito di cittadinanza: se si guarda infatti ai numeri - commenta la Catalfo, - le 'famiglie che si trovano in povertà nel nostro Paese' rimangono comunque molte, essendo ad oggi 'circa 3 milioni'.
E, per mancanza dei requisiti (valore ISEE inferiore a 6'000 euro e valore di patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20'000 euro) o per semplice insufficienza di fondi, non tutte vengono raggiunte dal provvedimento.
Ma, a conti fatti, i grillini avrebbero ben poco di cui sdegnarsi. Quello raggiunto due giorni fa, lungi dall'essere un duraturo motivo di opposizione in aula, potrebbe rivelarsi, con loro buona pace (a dispetto dei confronti tutt'altro che cordiali condotti in precedenza sulla stessa linea col Pd), una piccola vittoria che avrebbe tutte le credenziali per spianare la strada a un disegno ancor più ampio di 'inclusione sociale'. Che, in controluce, si tradurrebbe in un singolare salasso per le casse dello Stato.
Perché quello che non dicono è come si provvederà a dotarsi di quei soldi, che arriverebbero a 17 miliardi l'anno per coprire tutta la fascia a basso reddito o in povertà assoluta. E per quanti seguitano a evocare il tanto encomiato 'modello tedesco', si tenga presente che, in questo caso, il sussidio per i disoccupati non è - per quanto lo si creda - 'illimitato', ma termina con la pensione. Occorrerà dunque bussare ancora una volta scomodare la Bce, già abbastanza restia - come sappiamo - a concedere prestiti ai cugini italiani postulanti flessibilità. Ma la sconsiderata strumentalizzazione politica sa spingersi ben oltre.
La strategia politica del Pd fa appello all'irrealtà
Il rischio, che è ormai un dato di fatto, sarebbe in ogni caso di veder sciorinato il decreto dal padre Pd come il proclama di un importo aggiuntivo per contrastare la povertà assoluta, l'ennesima dispensa di bonus a gogò che tanta illusione ha dato nel credere che il Paese fosse davvero in crescita.
Laddove sappiamo bene, per esempio, che il Rei è incompatibile con la fruizione, da parte dei disoccupati involontari, di Naspl od altro ammortizzatore sociale.
Molto più semplicemente, siamo di fronte, nella stessa ottica dello ius soli, ad una strategia che, al di là delle 'più teste' (e, cioè, 'più voti') cui possa portare, si realizza nel tentativo di fare del Paese un ingente polo economico per attrarre - come avvenuto in passato negli Usa - manodopera a basso costo che si presti all'inesausta trasformazione del proprio lavoro in valore del capitale produttivo, creando così un lucroso indotto fra traffici migratori (ad un passo dal diventare ingestibili se assicurati all'arrivo dal 'porto sicuro' della cittadinanza indiscriminatamente concessa) ed economie in crescita per pochi sulla pelle di molti.
Depoliticizzare la lotta alla povertà: un consiglio 'dall'alto'
Ma, come si suol dire, non tutto il male vien per nuocere. Ed anche nella lotta contro la povertà sovvengono i primi, illustri consigli. È senza dubbio il caso di Dario Di Vico (Il corriere, 30 agosto), che ravvisa 'nel pur ricco dibattito sulle disuguaglianze' una 'tendenza strumentale [a] usare il disagio sociale come occasione di posizionamento politico'. Il viatico? Perché non mescolare sacro e profano ampliando la partecipazione dei cittadini alla prima Giornata mondiale dei Poveri il 19 novembre? Del resto - suggerisce Di Vico, - 'Se volessimo davvero dar seguito a un'idea di incontro vero e non retorico, bisognerebbe operare una discontinuità con il nostro modo tradizionale ed elitario di intendere la solidarietà', e 'costruire una giornata di 'esperienze' ovvero di immedesimazioni e di contatto con il reale'.
Niente di più ragionevole che credere che chi ha proposto l'ineccepibile decreto sul Rei rinunci - in una simile occasione - ad apparire sotto i riflettori. Ma, per chi voglia, si può sempre tentare. In buonafede.