Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016, manca da un anno all'affetto dei suoi cari. Era il 25 gennaio 2016 quando Noura Wahby, amica e collega di Giulio, lanciò sul proprio profilo Facebook il disperato appello legato alla scomparsa del ricercatore friulano. Quella sera Regeni si stava recando alla festa di compleanno di un suo amico, punto di incontro: Piazza Tahrir.
Giulio Regeni aveva già studiato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. La sua storia è ormai nota: al momento della scomparsa stava conseguendo un dottorato di ricerca presso un college dell'Università di Cambridge e si trovava in Egitto per approfondire lo studio delle difficoltà che stanno tuttora vivendo i sindacati indipendenti egiziani dopo la rivoluzione del 2011, seguita dal colpo di stato dell'ex generale Al Sisi. E proprio delle lotte sindacali Regeni aveva spesso scritto su siti e giornali come "Il Manifesto", anche sotto pseudonimo.
Giulio Regeni, in programma manifestazioni per la verità
Forte passione per l'Egitto e grande empatia nei confronti degli ultimi; questi gli stimoli principali che hanno spinto Giulio Regeni ad approfondire i suoi studi nel paese nordafricano. In un video reso pubblico proprio in questi giorni, il ricercatore parla con Mohamed Abdallah, il capo dei sindacalisti degli ambulanti che lo ha denunciato e venduto alle forze dell'ordine egiziane. Il filmato racconta in maniera molto concreta le qualità e i principi che Regeni poneva a fondamento del suo lavoro. Purtroppo si tratta dell'ultima tappa di un calvario straziante di cui è stato vittima il giovane friulano anche dopo la sua morte.
L'attenzione globale si trasforma presto in indignazione e preoccupazione il 3 febbraio, giorno in cui il corpo del ricercatore viene ritrovato su un tratto dell'autostrada Cairo-Alessandria.
Dall'Egitto arrivano i primi depistaggi per provare che il governo non è coinvolto nell'omicidio. Le torture subite da Regeni nei suoi ultimi giorni di vita lasciano segni incancellabili.
La risposta del governo italiano, con Paolo Gentiloni allora Ministro degli Esteri in prima linea, è unanime: "Verità per Giulio". Un appello che diventa presto un grido disperato, quando le autorità egiziane continuano ad insultare la memoria del ragazzo: ucciso perché una spia, anzi no, per motivi personali, oppure Regeni è morto in un incidente stradale. Il comportamento del governo egiziano fa crescere le iniziative volte ad ottenere una verità degna della memoria del ragazzo.
A dicembre sono stati identificati i poliziotti coinvolti nel caso, quelli a cui Abdallah passava le informazioni su Regeni, ma la ricerca di giustizia non conosce soste.
Amnesty International ha organizzato una mobilitazione nazionale a Roma che avrà luogo il 25 gennaio presso l'Università La Sapienza, dalle ore 12.30 alle 15.00. Ma non solo. Sono previste anche fiaccolate in serata in altre città d'Italia: Brescia, Bergamo, Rovigo, Pesaro, Pescara, Bologna e Trento, tutte in programma per le 19.41, l'orario preciso in cui Regeni inviò l'ultimo messaggio alla sua fidanzata, il 25 gennaio di un anno fa.
Io che sarò Giulio Regeni
Nella ricerca orgogliosa della verità, spicca la voce fiera e coraggiosa dei genitori di Giulio Regeni che, fin da subito, hanno manifestato quel carattere che chiunque può riconoscere al loro figlio. "Sul viso di Giulio ho visto il male del mondo", è la straziante frase pronunciata da Paola Regeni durante la conferenza stampa in Senato del 29 marzo 2016.
La donna, insieme al marito Claudio e alla comunità internazionale che si batte per il rispetto dei diritti umani, continua a lottare chiedendo verità e giustizia per la memoria di suo figlio.
Nell'epoca dei "Je suis qualsiasi cosa", troppe poche persone sono Giulio Regeni, ricercatore italiano tradito e torturato in Egitto; morto inseguendo un dottorato di ricerca e un mondo più giusto che oggi, un anno dopo, il suo nome e la sua memoria attendono ancora.