Da oggi è meno misterioso il processo di formazione e diffusione delle placche amiloidi, i famigerati agglomerati di proteine tipici del morbo di alzheimer, che disturbano il funzionamento dei neuroni fino a provocarne la morte. In particolare, è stato scoperto che le placche amiloidi possono essere diverse tra di loro anche all'interno dello stesso cervello e che pazienti con manifestazioni cliniche diverse presentano placche con strutture differenti.

Lo studio che ha portato alla scoperta è stato pubblicato su Scientific Reports ed è stato tanto lungo e complesso da richiedere la collaborazione tra i neuroscienziati della Northeastern University di Boston, del Mass­a­chu­setts Gen­eral Hos­pital di Boston e dell'Argonne National Laboratory dell'Illinois, uno dei più grandi laboratori degli USA. 

Alzheimer e fibrille di Beta-amiloide 

Già 150 anni fa lo psichiatra tedesco Alois Alzheimer, assieme al suo allievo italiano Gaetano Perusini, aveva individuato le placche amiloidi come segni caratteristici del tessuto cerebrale prelevato dai pazienti.

Attualmente si sa che le placche amiloidi sono agglomerati di fibrille proteiche, ovvero filamenti di una speciale proteina chiamata Beta-amiloide, che sono tossiche per i neuroni. In particolare le placche amiloidi indeboliscono lo scambio di informazione tra i neuroni che avviene tramite le sinapsi chimiche. Dato che il dialogo tra neuroni è vitale anche per il loro sostentamento, a lungo andare i neuroni muoiono.

Di recente, è stato messo a punto un anticorpo monoclonale, denominato Aducanumab, capace di ridurre l'accumulo di placche amiloidi in forme lievi di Alzheimer. Eppure, i meccanismi sottesi alla formazione e alla diffusione delle placche amiloidi rimangono oscuri, mentre la loro descrizione potrebbe suggerire strategie di prevenzione e terapie anche in forme gravi o avanzate del morbo.

Capire i meccanismi per prevenire l'Alzheimer

"Tramite tecniche di microscopia e cristallografia, abbiamo analizzato il tessuto cerebrale proveniente da alcuni pazienti affetti da Alzheimer e deceduti" spiega il professor Lee Makowski, del Depart­ment of Bio­engi­neering della Northeastern University, che ha guidato il gruppo di lavoro "i risultati delle nostre analisi mostrano che: 1) la struttura delle fibrille di Beta-amiloide che formano le placche è diversa in pazienti con storie cliniche differenti; 2) placche amiloidi con architetture differenti possono coesistere all'interno dello stesso cervello; 3) all'interno di una singola placca, le fibrille mostrano caratteristiche strutturali diverse a seconda che si trovino al centro della placca o alla sua periferia".

Le osservazioni del gruppo di neuroscienziati americani suggeriscono che le placche amiloidi non si diffondano da un punto del cervello al resto con la dinamica con cui cadono le tessere del domino, come si è creduto fino ad ora. E' più plausibile che le placche si diffondano come accade negli spettacoli pirotecnici, in cui da una prima esplosione possono nascere altri fuochi d'artificio.

"Naturalmente" spiega ancora Lee Makowski "le placche che originano dal focolaio iniziale attecchiranno e saranno dannose per i neuroni soltanto se le condizioni del tessuto nervoso saranno propizie perché questo avvenga. Per tale ragione, io credo che le nostre osservazioni possano rappresentare una svolta nella comprensione delle basi molecolari che fanno avanzare l'Alzheimer e il punto di partenza per capire come prevenire la progressione della malattia".