La notizia si è guadagnata la copertina di Nature, autorevole rivista scientifica internazionale. Pazienti colpiti da una forma lieve-moderata di alzheimer, arruolati nella sperimentazione clinica del nuovo farmaco, l’Aducanumab, hanno fatto registrare una significativa riduzione dei depositi cerebrali del peptide beta amiloide, responsabile della malattia degenerativa. Questo fa ben sperare, nel senso che per la prima volta un farmaco riesce non solo a bloccare la formazione di questo peptide ma, addirittura, riesce a invertire il processo.
Speranze dal nuovo farmaco targato Biogen Inc
Si tratta di un anticorpo monoclonale umanizzato, sviluppato da Biogen, azienda farmaceutica americana che, dalle prima valutazioni cliniche, sarebbe in grado di ridurre la formazione delle placche amiloidi e rallentare, di fatto, il declino degli anziani colpiti dal morbo di Alzheimer.
Siamo ancora alla sperimentazione di Fase 1, il primo livello di sperimentazione clinica per qualsiasi nuovo farmaco. Quindi ben lontani da una immediata disponibilità terapeutica ma, già il fatto che in questa fase iniziale ha fatto scalpore, vuol dire che i risultati ottenuti sono davvero sorprendenti.
La sperimentazione è stata condotta su un gruppo di 165 soggetti, affetti da una forma lieve-moderata di Alzheimer.
A tutti è stata effettuata una somministrazione iniettiva mensile. Tuttavia solo alla metà degli arruolati è stato effettivamente iniettato il farmaco, l’altra metà, il gruppo di controllo, ha avuto un placebo, secondo il modello doppio cieco, cioè sia i pazienti che i medici ignoravano l’appartenenza dei singoli pazienti a quali gruppi fossero associati.
Dopo un anno, il gruppo che ha assunto il farmaco ha fatto registrare una riduzione progressiva delle placche (monitorato via PET) e un miglioramento del suo quadro clinico. Alcuni pazienti non avevano più placche!
Un punto di forza di Aducanumab è la sua selettività: riesce infatti ad attaccare selettivamente solo la forma tossica della proteina amiloide, mentre non interferisce con la forma benigna, presente anch’essa nei neuroni cerebrali ma non risposabile dell’Alzheimer.
Inoltre, l’efficacia del farmaco è dose dipendente, le pacche si sono ridotte in misura maggiore nei soggetti a cui era stato somministrato una dose di farmaco più elevata.
La demenza senile
Così viene anche chiamato il morbo di Alzheimer, in quanto colpisce soggetti di età ultra-65enni, portando ad un progressivo declino cognitivo. Purtroppo le cause di tutto questo non sono state ancora identificate, nonostante gli enorme sforzi compiuti in tanti centri di Ricerca pubblici e industriali. Permane ancora il dubbio se le placche di beta amiloide siano direttamente associate alla malattia o meno. Questo studio inizia a far chiarezza.
La sperimentazione sta andando avanti ma prima di completare uno studio clinico di fase 3, dove si verifica effettivamente l’efficacia/vantaggi di un nuovo farmaco rispetto alle terapie preesistenti, occorrerà attendere qualche anno.
La prossima tappa è quindi l’arruolamento di 2700 pazienti, affetti da una forma lieve-moderata di Alzheimer, e sottoporli allo studio di fase 3. In caso di conferma dei risultati ottenuti negli studi precedenti, la nuovaterapia potrebbeesseredisponibilenel 2020.
Sarebbe una vera rivoluzione in campo neurologico, e una speranza per una popolazione che invecchia in misura sempre più diffusa. I dati attuali parlano del 5% di ultra-65enni, che diventano il 20% dopo gli 80enni, i soggetti anziani affetti da questa malattia. Un problema con una enorme ricaduta sui costi della sanità di tutti i Paesi, oltre che ad un devastante problema sociale, per chi ne è colpito e per chi le sta vicino.