Solo un paio di anni fa Michel Platini si diceva scherzosamente preoccupato del fatto che forse non gli sarebbe bastato un secondo mandato per riuscire a consegnare la Champions League a Gigi Buffon. D’altronde, l’amore per il bianconero dell’ex fuoriclasse di Joeuf, ed ex presidente Uefa, è noto, ma pensare oggi a quella battuta ha il sapore della beffa.

Perché proprio mentre la Juve ha fatto le cose in grande per riuscire a mettere in bacheca la terza Coppa Campioni/Champions della propria storia, la carriera politico-sportiva di Platini ha subito uno stop che ha tutta l’aria di essere definitivo.

Addio al "modello Platini"

Quella storia mai chiarita del presunto pagamento a Blatter ha decapitato i vertici del calcio internazionale. Il sogno di Le Roi di essere confermato a capo del movimento europeo per poi tentare l’assalto alla presidenza Fifa è andato in frantumi, ma con esso stanno per sgretolarsi anche gli effetti della celebre riforma alla Champions imposta dallo stesso Platini. Era il 2013 quando la Coppa più importante riacquistò un sapore antico, con meno spazio per le squadre piazzate e qualche posto in più per i campioni nazionali anche di paesi calcisticamente poco evoluti. Dopo un lustro cambierà di nuovo già tutto, come ufficializzato con l’introduzione delle nuove linee guida dal 2018-2019, valide fino al 2021.

Champions 2018: più posti = più soldi

Oltre all’aumento dei ricavi grazie anche all’introduzione del ranking per club, sostanziali saranno le nuove modalità di partecipazione: quattro posti sicuri per le prime 4 nazioni del ranking e ben 26 biglietti per la fase a gironi già assegnati dalle classifiche del campionato precedente, con soli 6 posti da assegnare attraverso turni preliminari e playoff, che riguarderanno squadre della periferia calcistica. La scelta è stata obbligata, dopo che la riforma aveva alzato il livello dei playoff, diventati una tagliola per molte big (italiane in particolare), e aveva di conseguenza trasformato la fase a gironi per molte squadre in allenamenti o poco più.

Parte così il lento avvicinamento verso quella SuperLega-SuperChampions al momento vista ancora come fumo negli occhi, ma della quale si parlerà sottotraccia nei prossimi tre anni, per provare ad avvicinarvisi ulteriormente dal 2021, magari con wild card (un discorso caro al Milan che le avrebbe volute da subito), dopo quella già avvenuta delle teste di serie dagli ottavi, per evitare grandi sfide ai primi incroci ad eliminazione diretta.

Cosa cambia per la Serie A

Sulla carta, e forse non solo, proprio l’Italia sarà la nazione più avvantaggiata da questa riforma. Solo così infatti la Serie A avrebbe potuto recuperare in tempi brevi il quarto posto in Champions (improbabile un crollo ulteriore a favore della Francia, quinta nel ranking e prima a qualificare solo due squadre senza playoff), ed avere tutti i posti già sicuri permetterà un significativo aumento delle disponibilità economiche (diritti televisivi, abbonamenti, botteghini) per i singoli club e a cascata per tutto il mercato nazionale. Dall’altra parte, la controindicazione sarà quella di svilire ulteriormente la corsa ai piazzamenti in campionato.

Se infatti, negli anni del dominio juventino, le appassionati lotte per secondo e terzo posto si sono spesso rivelate più interessanti della corsa allo scudetto, tra due anni arrivare secondo o quarto sarà la stessa cosa, così come accumulare 5 o 30 punti di ritardo dai Campioni d’Italia. Ecco perché per arrivare a trasformare davvero la riforma in un vantaggio sarà fondamentale recuperare prima competitività interna, per il primo posto, ma soprattutto per le posizioni di rincalzo, attraverso il ritorno ad alti livelli delle milanesi. Pena, il trasformare la Serie A in un allenamento in ottica Champions.