Il presidente della FIGC Carlo Tavecchio, in un'intervista per Radiouno rilancia la proposta di ridurre il numero di partecipanti alla massima serie, portando così il campionato dalle attuali 20 squadre a 18 unità. Il Presidente aggiunge anche che "non si possono avere 102 società professionistiche", somma delle partecipanti alle attuali Serie A, Serie B e Lega Pro. Secondo Tavecchio "la riduzione del numero delle squadre porterebbe ad un aumento dei tifosi".
Portare la Serie A a 18 squadre e le Serie B a 20 squadre (dalle attuali 22) permetterebbe, secondo il presidente, di ripartire gli introiti televisivi tra meno società rilanciando così la competitività delle club italiani. Inoltre, un campionato meno diluito e più competitivi favorirebbe il riempimento degli stadi e, si auspica, maggiori investimenti in stadi moderni e di proprietà dei club. Il cambiamento non può essere immediato, ma Tavecchio auspica un dialogo in questo senso con i club al fine di predisporre un piano quadriennale che concretizzi la proposta.
Serie A, un prodotto da rilanciare
Gli sport professionistici sono ormai sempre più una questione di soldi, mercato e concorrenza. Sono quindi ormai in molti in Italia a soffrire della distanza che separa il nostro campionato - una volta considerato il più bello del mondo - dalla ricca Premier League inglese e dalla Liga Spagnola. Distanza che appare incolmabile sia in termini di giro d'affari, di modernità delle infrastrutture e non da ultimo di competitività sul campo. Le proposte lanciate da dirigenti e presidenti dei club sono state molte. C'é chi spinge verso un campionato europeo nella speranza di abbandonare per primo una barca che non corre più come una volta, per salire su una nave da crociera extralusso in formato Champions League.
C'é chi, molto più modestamente ma in tutela di interessi più generali, propone la riduzione delle squadre che partecipano alla Serie A per riportarle a 18. Il vantaggio di questa soluzione sarebbe di ridurre il numero partecipanti allo scopo di far salire il livello tecnico delle squadre e, soprattutto, di ridurre il numero di partire dallo scarso appeal che abbondano in questo campionato allargato.
Riforme ed effetti collaterali
La serie A a 20 squadre - e la serie B a 22 - non fu il traguardo sperato di una stagione di riforme quanto, piuttosto, un rattoppo ad una situazione giudiziaria che rischiava di mettere in discussione l'avvio dei campionati per la stagione 2004/2005. All'epoca il calcio italiano cominciava soltanto a soffrire dei primi sintomi che l'avrebbero poi colpito negli anni a venire.
Allargare la seria A a 20 squadre e poi, in seguito, ridurre il numero di retrocessioni a 3 squadre portò aumentò il numero di squadre che potevano puntare ad una salvezza "tranquilla" riducendo così la competizione in coda alla classifica. La possibilità di programmare con più serenità gli investimenti per crescere da parte della squadre di metà classifica fu una promessa disattesa complice, se vogliamo, la crisi finanziaria che colpì l'intera economia. E così dopo poco più di 10 anni l'Italia si ritrova con un campionato dal talento annacquato, imbottito di provinciali e con un paio, forse tre, pretendenti allo scudetto. Il ritorno al "vecchio" appare cosa buona e giusta. Ma attenzione, ridurre il numero di partecipanti non significa eliminare le piccole provinciali per qualche stagione.
Dopodiché, in un campionato più difficile, una stagione sbagliata rischia di essere pagata con l'onta della retrocessione in serie B. E non è detto che tra le tre bocciate non ci sia anche posto per qualche squadra dal grande blasone.