La giovane sudanese Meriam Yahia Ibrahim Ishag, 27 anni, cristiana, è stata condannata a morte nel suo paese con l'accusa di aver rinnegato la religione musulmana in favore di quella cristiana. All'epoca della carcerazione era già incinta, e la bambina è venuta alla luce nel carcere di Khartoum. Per Meriam si tratta del secondo figlio, infatti la donna è già mamma di un altro bambino, Martin, di 22 mesi, che si trova in prigione con lei dal giorno dell'arresto, avvenuto il 17 febbraio.
Meriam è stata condannata all'impiccagione in quanto ha preferito seguire la fede cristiana della madre e non quella musulmana del padre. La madre di Meriam è infatti di origine etiope ortodossa, ed è stata lei ad occuparsi personalmente della crescita della figlia in quanto il padre, un sudanese musulmano, le ha abbandonate quando Meriam aveva solo sei anni.
Secondo la legge sudanese Meriam è però considerata musulmana in quanto i figli devono seguire la stessa religione del padre, ed il suo matrimonio con Daniel Wani, sud sudanese cristiano con cittadinanza americana, è considerato nullo dalle leggi islamiche.
Meriam, considerata ¨musulmana dal suo paese, avrebbe potuto sposare solamente un uomo musulmano, e per questo motivo è considerata un'adultera.
La giovane è stata quindi arrestata e a causa del suo rifiuto alla conversione alla religione musulmana è stata condannata a morte mentre era già incinta. È stata condannata anche a ricevere cento frustate in quanto sposata con un uomo di religione cristiana.
"Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma insisti nel non voler ritornare all'Islam. Ti condanno a morte per impiccagione" queste sono le parole con cui il giudice sudanese ha dichiarato la condanna a morte di Meriam.
La storia di Meriam ha fatto il giro del mondo e molte associazioni ed ambasciate occidentali che si trovano in Sudan si sono schierate a difesa della giovane chiedendo allo stato del Sudan di rispettare il diritto della libertà di religione sancito dal Diritto internazionale.
Amnesty International in particolare ha commentato la vicenda come "ripugnante", infatti nessuna persona dovrebbe essere condannata a morte a causa della sua fede religiosa.
Gli avvocati di Meriam si dicono sicuri di una riapertura del processo in quanto nel condannare a morte la giovane i giudici sudanesi si sono basati unicamente sulla legge islamica, non tenendo conto delle leggi internazionali.
Per il momento Meriam resta però in carcere assieme ai suoi due bambini e al marito non è ancora stato permesso di andare a visitare lei e la piccola appena nata.
Grazie alla nascita della bambina la condanna a morte è però stata posticipata di almeno due anni in quanto la legge del Sudan permette alle mamme di allattare per due anni i propri figli dopo la nascita.