Gianluca Salviato è libero e sta bene. Si può tirare un sospiro di sollievo per il tecnico veneto che lo scorso 22 marzo era stato rapito in Libia dove era giunto per svolgere dei lavori per conto dell'azienda della quale è dipendente, la Enrico Ravanelli, che si occupa di costruzioni. La notizia ufficiale è stata diffusa con un comunicato da parte del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale.
Stando alla nota diffusa dal Ministero, Salviato ha già lasciato la Libia ed è atterrato in Italia, a Roma, nella notte fra sabato 15 e domenica 16 novembre.
Il cantiere presso il quale lavorava Salviato è situato nella città di Tobruk, in Cirenaica, una zona molto pericolosa che, da quando è caduto Muammar Gheddafi, circa due anni e mezzo fa, è continuamente attaccata e messa in pericolo dalle milizie islamiche. Il tecnico italiano si stava occupando della realizzazione di alcuni impianti fognari prima di essere rapito, generando grande apprensione soprattutto per le sue condizioni di salute.
Gianluca Salviato, infatti, è malato di diabete e ha bisogno di cure costanti per non veder peggiorare drasticamente la propria salute. Lo scorso 22 marzo, dopo essere uscito di casa, fu intercettato e rapito mentre usciva da un bar, dopo aver fatto colazione. I colleghi di lavoro, quando si accorsero che il tecnico veneto non era giunto in cantiere, lanciarono subito l'allarme, dato che non era da Salviato scomparire dal luogo di lavoro in quel modo. Quando si diffuse notizia dell'avvenuto rapimento, ci fu subito tanta paura perché le forze dell'ordine avevano trovato i medicinali dell'uomo abbandonati nella sua automobile, dunque la sua sopravvivenza, senza i farmaci per la cura del diabete, era in serio pericolo.
Per fortuna, dopo quasi 8 mesi di prigionia, Gianluca Salviato è uscito dall'incubo ed è tornato sano e salvo in Italia, dove potrà riabbracciare i suoi cari e gli amici. Poi ci sarà tempo e modo per raccontare la terribile esperienza che deve aver vissuto in questi mesi, quando è caduto nelle mani dei miliziani in Libia in una situazione in cui si rischia seriamente di finire uccisi da un momento all'altro.