Un detenuto di nazionalità rumena suicida nel carcere milanese di Opera e alcuni agenti di Polizia penitenziaria hanno pensato bene di commentare la notizia su Facebook: "Uno di meno". Questa la nuova frontiera della barbarie raggiunta oggi da quella che sempre più sembra desiderosa di qualificarsi come "società in-civile".

Detenuto suicida: chi era l'ergastolano rumeno

Il detenuto suicida era il rumeno Ioan Gabriel Barbuta, di 39 anni, condannato all'ergastolo dalla Cassazione per aver ucciso una vicina di casa durante una rapina finita male.

Barbuta era stato inizialmente assolto sia in primo grado che in appello; solo due anni fa, la Cassazione ha ribaltato la sentenza, condannando il rumeno, che nel frattempo era ritornato in patria, all'ergastolo. La notizia del suicidio dell'ergastolano rumeno, pubblicata con un post sul profilo Facebook dell'Alsippe, l'Alleanza sindacale Polizia penitenziaria, ha scatenato una serie di "commenti inqualificabili", secondo la definizione dei senatori del Partito Democratico, Roberto Cociancich, Laura Cantini ed Andrea Marcucci.

Detenuto suicida: i commenti degli agenti su Facebook

"Uno di meno", quello più gratificato dai "mi piace", ma non sono mancati auspici come "speriamo abbia sofferto" o premurosi consigli tipo "mettiamo più corda e sapone a disposizione".

Commenti sui quali il Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, ha avviato un'indagine interna per accertare che gli autori siano effettivamente Agenti di Polizia penitenziaria e per definire eventuali sanzioni. Irritazione per gli insulti al detenuto suicida è stata manifestata anche dalle altre sigle sindacali della Polizia penitenziale, mentre il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha convocato lo stesso capo del Dipartimento e, a seguire, i rappresentanti sindacali.

Detenuto suicida: il dibattito su amnistia e indulto

Della scarsa vivibilità delle carceri italiane, per le cui condizioni il nostro Paese è stato a più riprese condannato a livello internazionale, si è a conoscenza da tempo, tanto che a più riprese ritornano in auge proposte di amnistia e indulto.

Una condizione della quale i detenuti sono vittime al pari di chi, gli agenti penitenziari, nelle carceri ci lavora facendo i conti con turni massacranti e in situazioni di precarietà, ma che non può giustificare lo scadimento nella barbarie. Un detenuto che si suicida in carcere è una sconfitta per il sistema rieducativo di uno Stato civile. Agenti che gioiscono per questa sconfitta sono la misura dello scadimento del senso civico nel quale il Paese sembra essere precipitato.