All’inizio della fase finale dell’operazione militare il governo di Bagdad aveva annunciato di voler liberare Ramadi dall’Isis nel giro di 72 ore; i tempi sono stati grosso modo rispettati. La città, situata a 100 km ad ovest di Bagdad, è il capoluogo della provincia d’al-Anbar, e prima degli eventi drammatici che l’hanno vista protagonista contava su 300mila abitanti. Era caduta nelle mani dello Stato islamico il 17 maggio scorso, e si era temuto allora che la stessa capitale potesse subire identica sorte.

La vittoria ha un’importanza particolare dal momento che la città è abitata prevalentemente da sunniti, l’etnia al potere in Iraq al tempo di Saddam, ed ora su posizioni critiche verso il governo, a composizione sciita. Anche per questo motivo l’Isis, nato proprio tra i sunniti scontenti del dopo-Saddam, supportati successivamente da elementi militari provenienti dal partito Baath, avevano trovato poca resistenza tra le popolazioni sunnite, come era accaduto nella stessa Ramadi.I tentativi di riconquistare la città nei mesi scorsi erano andati a vuoto perché l’esercito iracheno era supportato da milizie sciite provenienti dal Libano e dall’Iran, malviste dalle popolazioni locali.

Il sostegno americano

La novità è che questa volta in appoggio alle truppe governative non c’erano più queste milizie ma elementi sunniti della zona, addestrati dagli americani. L’attacco alle posizioni del Daech (altro nome dello Stato islamico, entrato nel lessico giornalistico nel corso del 2015) ha visto il sostegno continuo dell’aviazione della coalizione a guida americana, anche se tra sabato e domenica l’esercito, penetrato dentro la città, ha dovuto avanzare quasi sempre facendone a meno, e con molta cautela, dal momento che la resistenza dell’Isis si era arroccata nei quartieri e nelle case, facendo anche largo uso di kamikaze. La popolazione era stata invitata con un lancio di volantini prima dell’attacco a lasciare la città per non essere coinvolta nei combattimenti.

I militanti dell’Isis avevano tuttavia cercato di impedirlo, e anzi avevano trattenuto molti cittadini con l’intenzione di usarli come scudi umani.

Torna la fiducia tra gli iracheni

Questa vittoria ha ridato prestigio all’armata irachena, molto criticata dopo l’umiliante rotta del giugno 2014 di fronte all’avanzata dei militanti del Daech. Orgoglioso del risultato si e' detto il segretario di Stato americano John Kerry, mentre il generale Yahya Rasool, in una dichiarazione alla tv di Stato irachena ha detto: "Ramadi è stata liberata e le forze armate del servizio anti-terrorismo hanno issato la bandiera irachena sul complesso governativo". Non meno di cinque membri delle forze di sicurezza e dell’esercito iracheno sono caduti negli scontri, anche se non è dato sapere il numero esatto delle vittime.

Da fonti provenienti da strutture mediche è filtrato che almeno 93 membri delle forze irachene sono stati feriti e curati in ospedali nella sola giornata di domenica. Tra i jihadisti vi sarebbero almeno 50 caduti.  Ucciso anche il capo del Consiglio delle milizie dello Stato islamico, Abu Ahmad al-Awani. Per il Daech si tratta indubbiamente di uno smacco, e non a caso, nel tentativo di dare certezze ai suoi adepti, il "Califfo" al Baghdadi si è sentito in dovere di dichiarare pubblicamente "i vostri raid non ci hanno indebolito".