Si è costituito ieri sera l'ex comandante Francesco Schettino e per lui si sono aperte le porte del carcere romano di Rebibbia. Lo ha fatto dopo aver ascoltato il pronunciamento della Quarta Sezione penale della Cassazione che ha confermato la condanna definitiva a 16 anni di reclusione per il naufragio della Costa Concordia inflitta dai giudici della Corte d'appello di Firenze lo scorso 31 maggio.
Il naufragio avvenuto la sera del 13 gennaio del 2012 davanti all'isola del Giglio per fare il cosiddetto "rito dell'inchino", la manovra di avvicinamento alla costa per essere visti dai turisti sull'isola, causò la morte di 32 persone dei 4229 passeggeri, decine di feriti, colossali operazioni di salvataggio sotto gli occhi del mondo, fino poi all'impresa "titanica", lunga e dispendiosa, del recupero del relitto che si è conclusa il 23 luglio del 2014. Nella storia della navigazione civile italiana, si è trattata di una delle più gravi sciagure degli ultimi 200 anni. La società armatrice Costa finora ha pagato 80 milioni di euro per risarcire le vitime e i sopravvissuti, sebbene abbia ancora qualche conto in sospeso con le amministrazioni comunali.
La sentenza, la reazione di Schettino e la decisione dei suoi legali
Durante la requisitoria dello scorso 20 aprile, il sostituto procuratore della Suprema Corte, Francesco Salzano, oltre alla conferma della condanna dell'unico imputato rimasto - avendo il comandante in seconda Ciro Ambrosio, il terzo ufficiale Silvia Coronica, il timoniere Jacob Rusli Bin, il responsabile sicurezza della Costa Crociere Roberto Ferrarini e l’hotel director Manrico Giampedroni, patteggiato pene inferiori ai tre anni di carcere, - aveva chiesto un inasprimento della pena a 27 anni ritenendolo un naufragio di immani proporzioni, all'insegna di negligenze gravissime e macroscopiche infrazioni delle procedure. La Cassazione ha ritenuto con la sentenza di ieri che 16 anni possano bastare.
L'ex comandante Schettino, 55 anni, che si aspettava questa decisione, aveva già lasciato la sua casa di Meta di Sorrento per stare nei dintorni del carcere di Rebibbia dopo la lettura della sentenza, preferendo il carcere romano agli affolatissimi penitenziari napoletani.
Così quando i suoi legali, Donato Laino e Saverio Senese, gli hanno comunicato il verdetto dei supremi giudici, è andato a bussare al carcere di Rebibbia dicendo di credere nella giustizia. Intanto i suoi legali che hanno sostenuto la tesi del complotto e sabataggio degli ufficiali ai danni di Schettino (sarebbero stati manomessi ecoscandaglio, radar e allarme visivo) hanno annunciato di fare ricorso alla Corte europea di Strasburgo.
Ci sarebbero state una serie di violazioni dei diriti della difesa. I difensori hanno riferito che Schettino si ritiene responsabile ma non colpevole, perché sulla nave c'era un team di comando. Lo ritengono un capro espiatorio, un processo ingiusto in cui paga solo lui. Sul banco degli imputati, a detta dei legali, mancava la compagnia, le cui responsabilità non sarebbero state accertate.
Il no comment di De Falco
Non ha voluto commentare la sentenza Gregorio De Falco, l'ufficiale della capitaneria del porto di Livorno che guidò i soccorsi dopo il naufragio della Costa Crociera dopo l'urto sugli scogli davanti l'isola del Giglio alle 21 e 45 del 13 gennaio 2012, quando si aprì uno squarcio di 70 metri nella fiancata sinistra dello scafo. De Falco intimò a Schettino che aveva abbandonato la nave di risalire a bordo in quella che è diventata la telefonata virale a livello planetario sul Web. Ma Schettino non lo fece.