"Abbiamo pagato un prezzo altissimo, ma abbiamo fatto fallire i piani dell'Occidente sulla nostra terra". È lo stralcio di un discorso che, la scorsa settimana, è stato pronunciato dal presidente siriano Bashar al-Assad dinanzi ai diplomatici di Damasco e trasmesso in diretta dalla TV siriana. Non si tratta soltanto di propaganda: quanto affermato da Assad corrisponde in buona parte al vero, perché la guerra che insanguina il Paese dal 2011 ha avuto mille sfaccettature ed altrettante contraddizioni.
L'opinione pubblica occidentale, però, ha sovente trasmesso soltanto il punto di vista degli Stati Uniti e dei Paesi alleati, in parte alimentato da famigerate imposture come l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Incredibile che, ancora oggi, venga considerato attendibile il megafono di un oppositore politico in esilio e non si tenga conto di tutte le parti coinvolte nella complessa questione siriana. Oggi è calato il silenzio, a parte qualche breve comunicato che rende noto lo svolgimento di una battaglia o di un raid aereo. Si parla di tanto in tanto dell'avanzata delle Forze Democratiche Siriane a guida USA ed a maggioranza curda su Raqqa, la cui presa segnerà la fine dell'Isis almeno come Stato 'abusivo' tra Siria ed Iraq.
Per il resto tutto tace. Grazie al risolutore intervento russo ed al sostegno dell'Iran, Assad sta però vicendo la sua guerra e giorno dopo giorno la sua leadership si rafforza. La rivoluzione siriana, ultimo capitolo della controversa Primavera Araba, sta per essere sconfitta e tanto Washington quanto i fedeli alleati statunitensi in Europa e Medio Oriente hanno poco o nulla da dire, se non digerire quella che, a tutti gli effetti, è una disastrosa disfatta politica.
Pesi e misure diverse
L'anno scorso di questi tempi, quando infuriava l'assedio per la presa di Aleppo da parte dell'esercito siriano e la città era sotto i bombardamenti dell'aviazione russa, non passava giorno in cui qualche organo di stampa non puntasse il dito contro i presunti crimini di guerra commessi dall'asse Mosca-Damasco.
Sono stati usati tutti i mezzi di propaganda possibili, leciti e meno leciti. Una battaglia di atroce violenza infuria oggi per la presa di Raqqa, sporadicamente viene prodotto qualche bollettino che risponde alla fredda logica dei numeri: i civili uccisi durante i raid della coalizione a guida USA sull'ultima roccaforte dello Stato Islamico sono centinaia, eppure anche a voler tendere le orecchie non udiamo urla di sdegno, non leggiamo appelli sui social network, non vediamo alcun reportage fotografico. Come se i civili, tra cui tanti bambini, uccisi dall'aviazione statunitense fossero 'vittime necessarie' e non 'barbaramente trucidate' come quelle di Aleppo.
Khan Sheikhun, il tentato colpo di coda
Quasi impossibile elencare le presunte nefandezze di cui è stato accusato il governo di Bashar al-Assad in questi anni di guerra. Nel 2012 tutto il mondo puntò il dito contro Damasco dopo il massacro di Houla, prima che coraggiosi report di stampa indipendente dimostrassero l'estraneità dell'esercito siriano ai fatti contestati. Quanto accaduto a Khan Sheikhun lo scorso aprile è stato il colpo di coda per rimettere il presidente siriano sul banco degli imputati: in realtà ancora oggi nessuno è stato in grado di fornire prove sulle responsabilità del governo siriano in merito al presunto raid chimico. Diciamo 'presunto' non perché vogliamo negare la morte di decine di civili, tra cui tanti bambini, intossicati dai gas, ma soltanto perché un organo di stampa ha il preciso dovere di prestare attenzione a tutte le fonti.
Ne esiste una russa che parla di un deposito di armi chimiche a disposizione dei ribelli che sarebbe stato colpito nel corso di un raid dell'aviazione siriana, la cui esplosione avrebbe causato la nube letale. La versione dei media russi è stata pressoché ignorata dalla stampa occidentale e quelle testate che questi dubbi li hanno espressi sono state tacciate di 'vergognose insinuazioni dinanzi all'evidenza'. Peccato che nessuno sia stato in grado di evidenziare nulla: quattro mesi dopo, le prove della colpevolezza del governo siriano non sono ancora state fornite e la richiesta russa di un'ispezione ONU a Khan Sheikhun è caduta nel vuoto. Il pretesto di punire il 'crudele tiranno' è stato utile a Washington per lanciare i suoi missili in territorio siriano: un'azione dimostrativa, in fin dei conti, perché ha causato invero pochi danni ed è stato soltanto l'ultimo tentativo di alzare la voce sulla questione siriana e proporre una soluzione politica alternativa a quella diretta da Russia ed Iran.
Shoygu: 'La guerra civile è finita'
Così la posizione di Bashar al-Assad, tornato improvvisamente a recitare il ruolo di 'babau' in quei caldi giorni di aprile, si è notevolmente rafforzata, tant'è che oggi è improbabile ipotizzare una Siria con una guida diversa in ottica futura. La tregua tra il governo e l'opposizione moderata stipulata lo scorso dicembre ha retto e le controparti si sono più volte incontrate ad Astana, in Kazakistan, per discutere del futuro del Paese. Lo hanno fatto a muso duro, ma lo hanno fatto comunque. Questo ha permesso all'esercito regolare siriano, supportato dalle forze armate russe, dalle milizie libanesi Hezbollah e dai Pasdaran iraniani di concentrarsi esclusivamente sulla guerra contro le forze ribelli islamiste ex qaediste e contro l'Isis.
Di fatto, non esiste più una guerra civile siriana per come era intesa nel 2011. "Siamo riusciti a separare l'opposizione dai terroristi - ha dichiarato il ministro della difesa russo, Sergej Shoygu - ed abbiamo imposto zone di de-escalation. Abbiamo posto fine alla guerra civile e sarebbe un bene che questo fosse compreso anche dai nostri partner occidentali. Cerchino anche loro di separare l'opposizione moderata dai terroristi e la smettano di aiutare entrambi".
La resa dei conti con l'Isis
Così mentre Mosca non perde occasione per 'bacchettare' gli Stati Uniti, l'esercito di Assad prosegue la sua avanzata: l'ultimo successo è relativo alla rinconquista totale della provincia di Aleppo, ma allo stato attuale si combatte una battaglia ancora più importante.
L'obiettivo finale di Damasco è infatti Deir el-Zor, ultima provincia siriana ancora nelle mani dell'Isis. Le notizie più recenti arrivano dalla regione di Badiya dove l'esercito ha circordato le milizie del califfato interrompendone le linee di rifornimento. 'Bonificata' l'aerea, le truppe di Damasco punteranno su Deir el-Zor e questa azione, insieme alla contemporanea presa di Raqqa da parte delle milizie a maggioranza curda, segnerà la sconfitta definitiva dello Stato Islamico. Poi sarà tempo del lungo processo politico per la ricostruzione dal Paese, a partire dalle libere elezioni di cui Vladimir Putin si è sempre fatto promotore. Obiettivo del presidente russo è quello di consentire al suo attuale omologo siriano di essere 'giudicato' dal suo popolo tramite le urne ed è probabile che passi questa linea che, in fin dei conti, è davvero la più democratica possibile.
Spetterebbe dunque ai siriani scegliere il proprio futuro e non abbiamo dubbi che un leader come Bashar al-Assad, in piedi dopo una guerra civile, 'eroe' di una Paese laico contro l'oscurantismo jihadista e supportato da un potente alleato come la Russia, abbia parecchie chanches di guidare ancora la Siria.