Due autobombe sono esplose nella notte tra martedì e mercoledì a Bengasi, nel nord della libia, uccidendo almeno 22 persone e ferendone 32, secondo quanto riportato dall'Ansa, che cita fonti di intelligence locali. L'attacco è avvenuto vicino alla moschea del quartiere al-Salmani, durante l'uscita dei fedeli. I primi sospetti ricadono sulla coalizione di milizie integraliste islamiche Shura Council of Benghazi Revolutionary.

Un attacco strategico

Secondo gli analisti, però, questa volta non si tratterebbe di un attentato rivolto contro la popolazione civile con lo scopo di diffondere il terrore, ma di un attacco militare strategico. Non a caso, tra le vittime si registrano alcuni dei vertici del Lybian National Army come Ahmed Alfaytori, capo delle Unità investigative. Tra i feriti, secondo quanto riportato da Panorama, ci sarebbero anche il colonnello Belkasim Al Obaidi e il direttore dell'Intelligence Almahdi Al Falah. L'esercito di liberazione libico, guidato dal generale Khalifa Haftar, controlla la Cirenaica, ovvero la parte est del Paese, di cui Bengasi è un importante centro nevralgico.

Lo scorso luglio lo stesso Haftar aveva dichiarato Bengasi "liberata" dallo Stato Islamico. L'attacco della scorsa notte rappresenta un colpo di coda degli islamisti, che nonostante il forte ridimensionamento dell'Isis continuano a operare nella regione, in milizie come Ansa al-Sharia. Haftar aveva riconquistato Bengasi grazie anche al supporto francese, nell'ambito di quella che chiama "Operazione dignità", ovvero l'eliminazione dalla Libia delle forze islamiste, il fronte opposto di quella guerra civile che ha fatto precipitare il Paese nel caos dopo la cacciata di Mu'ammar Gheddafi, nel 2011.

Un Paese diviso

Quella che un tempo era la Libia oggi è di fatto un Paese spaccato in tre. La caduta del regime di Gheddafi ha infatti fatto riesplodere storiche rivalità e tensioni tribali, rendendo puramente formale l'unità nazionale che il petrolio del regime era riuscito a mantenere.

Se in Cirenaica, come abbiamo visto, il potere reale è nelle mani dell'esercito di Haftar, appoggiato soprattutto dal presidente egiziano Al-Sisi, dagli Emirati Arabi Uniti e da Vladimir Putin, nella capitale Tripoli è insediato il governo di Fayez Al Serraj, che la comunità internazionale riconosce formalmente come il legittimo governo libico. Ad appoggiarlo è la coalizione di forze islamiste Alba Libica, a sua volta spaccata al suo interno tra diverse realtà, alcune delle quali ostili al governo di unità nazionale. L'influenza di Tripoli è però limitata alla Tripolitania, la regione che comprende il nordovest del Paese. A sud, invece, si trova l'ampia e desertica regione del Fezzan, dove imperversano milizie armate di varia natura e ha luogo quel traffico di esseri umani che dall'Africa subsahariana arriva fino al Mediterraneo.