Venezia è fin troppo leggendaria, come sinonimo di bellezza. Qualunque immaginazione, anche la meno romanzesca, è capace di richiamare le sue gondole, i suoi ponti e il suo caleidoscopico Carnevale. Non è dunque sorprendente ritrovarla a più riprese nelle arti. L'Associazione Culturale Amici di Palazzo Martinengo, a Brescia, le ha così dedicato una mostra: "Lo splendore di Venezia" (Palazzo Martinengo Cesaresco, 23 gennaio - 12 giugno 2016).
Questo evento è il seguito della fortunata esposizione "Il cibo nell'arte dal Seicento a Warhol": un viaggio attraverso la ricchezza dei sensi, dal palato alla vista. Stavolta, invece, il viaggio abbandona (apparentemente) la materialità, per darsi alla luce e all'immaginario. Questa mostra è la più vasta fra quelle dedicate al vedutismo veneziano in Italia. Le opere provengono da collezioni pubbliche e private, italiane e straniere.
Un inizio imprevisto
La mostra, a sorpresa, inizia nel giardino di Palazzo Martinengo. Salendo i gradini che portano all'ingresso, l'ignaro visitatore si ritrova davanti a una gondola che affonda, afferrata da una piovra.
Si tratta della scultura "Saluti da Venez...", di Stefano Bombardieri (2016). Dal decostruzionismo postmoderno si passa - nell'ingresso vero e proprio - alla linea del tempo: una serie di pannelli ricostruiscono la storia di Venezia e delle sue raffigurazioni nell'Arte. Nella sala accanto, si trovano i precursori secenteschi del vedutismo, fra cui Joseph Heintz il Giovane (1600 - 1678).
L'immancabile Canaletto e i suoi rivali
Il posto principale, però, spetta ovviamente a Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697 - 1768). Veneziano, fu lui a consegnarci vedute della propria città nitide come cartoline, dettagliate - ma anche idealizzate. Nei suoi dipinti, compaiono a più riprese luoghi ed elementi ormai simbolici: il molo, il campanile di San Marco, la basilica di Santa Maria della Salute, il Palazzo Ducale, il Bucintoro - la galea da cui il Doge, nel giorno dell'Assunzione, celebrava lo sposalizio col mare.
"Nipote d'arte" fu Bernardo Bellotto (1721 - 1780), detto anch'egli "Canaletto", come lo zio e maestro. La poesia delle acque veneziane ispirò anche l'opera di Francesco Guardi (1712 - 1793), terzo grande nome della mostra. Michele Marieschi (1710-1744) non poté rivaleggiare a lungo col Canaletto, perché morì in giovane età; fece però in tempo a realizzare vedute in cui aumentava arditamente la profondità di campo.
Non solo a colori, ma anche nei volumi e nei tratti delle incisioni ad acquaforte si espressero i pittori innamorati della Serenissima. Una sezione della mostra è dedicata a queste realizzazioni.
Dall'Ottocento in poi
Il XIX secolo vide la morte dell'autonoma Repubblica di Venezia, ricompresa nelle conquiste napoleoniche.
Le sue raffigurazioni persero dunque luminosità e idealità, per lasciare spazio alle nebbie di Ippolito Caffi (1809 - 1866), alla nostalgia di Alessandro Milesi (1856 - 1945) e ai notturni di Federico Moja (1802 - 1885). Una meraviglia atavica e sempre attuale è il vetro di Murano. Nella mostra, esso compare nelle creazioni di Maria Grazia Rosin (1958 - ): interpretazioni di forme animali o di oggetti quotidiani come i barattoli di detergente, apparentemente banali, ma dalle sagome complesse. Il "pezzo forte", però, è l'installazione Gelatine Lux: lampade che riproducono primordiali creature marine creano effetti di luce e suono, rimandanti all'acqua e all'origine della vita. Il cerchio si chiude con Angelo Inganni (1807 - 1880), un pittore bresciano di passaggio a Venezia.